Marco 9, 30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Gesù è il poveraccio che viene assalito dai briganti, viene percosso, viene derubato e poi viene lasciato morente sul ciglio della strada.
Gli uomini del suo tempo lo hanno reso così. Gesù è quell’uomo, Gesù è il povero Lazzaro che non riceve nulla dal ricco, l’uomo senza nome, anzi non è neppure un uomo: è solo ricco.
Gesù è l’ultimo di tutti e il servo di tutti. Gesù è il bambino, il piccolo, che viene accolto o rifiutato. Gesù è il poveraccio senza nome che poi scopriamo avere un nome: Lazzaro appunto. È il poveraccio di cui conosciamo bene la condizione: uno che è stato spogliato, denudato, percosso, abbandonato, lasciato mezzo morto ai margini della strada. Tutti noi conosciamo la condizione di quest’uomo: tutti lo sanno! Gesù è lasciato in mezzo alla strada dove passano tutti e ha come scenario il mondo intero.
Ma chi è quest’uomo? Un ebreo? Un samaritano? Un tedesco? Un africano? Oppure un cinese o un russo? Era un ricco o un povero? Sì anche i poveri sono derubati, è più facile, nessuno li difende, gli avvocati sono affaccendati a difendere i ricchi e i cristiani: anche qui piove sul bagnato. Quest’uomo può essere un onesto o un ladro; un operaio o un comunista, un anarchico o un terrorista. Non importa. O meglio non dovrebbe importare.
Siamo noi malati di protagonismo e di volere essere coloro che dominano, coloro che sono più importanti che, prima di aiutare qualcuno, cerchiamo la sua carta di identità. Gesù da ricco si è fatto povero. Noi giudichiamo se l’altro se lo merita oppure no. Gesù no! Per Gesù conta solo che sia un uomo! Che abbia un volto, magari sfigurato, ma pur sempre un volto.
Gesù è stato trattato come un delinquente e braccato come tale, ma rimane sempre un uomo, il Figlio dell’Uomo. È il Cristo caricato di ferite, che è tutto una crosta di sangue, innalzato sul mondo come una bandiera. Lui è la bandiera dell’umanità piantata sul Golgota, sul luogo detto Cranio. Lui è la bandiera dell’umanità, di questa umanità abbandonata e lasciata morire ai margini della strada. Un oceano di umanità che muore lungo le molte vie del mondo dove passano i briganti: noi ricchi.
Quest’uomo non ha un nome, anche se si chiama Gesù e Lazzaro, poiché può essere chiunque che capiti in una società di ladri. Sono quella moltitudine di poveri che ora stanno morendo di fame in qualche paese della terra; sono gli umiliati e offesi nella loro dignità e nel loro onore; sono i percossi e torturati e lasciati ad agonizzare. Purtroppo non intervengono quelli di dovere: uomini di religione, gli ufficiali dell’ordine pubblico, gli uomini della res-pubblica.
Protagonista è un uomo anonimo grande, immenso, da riempire la terra. Un uomo per cui si apriranno i cieli e lo stesso figlio di Dio scenderà sulla terra. Un uomo povero, qualunque povero di qualunque razza e colore e cultura: è l’essenza del vangelo, l’attore principale di tutta la storia di Cristo.
Gesù vuole spingere i suoi discepoli a parteggiare per quest’uomo facendosi Lui quell’uomo. Ma i discepoli non capiscono, sono presi da ben altra preoccupazione, vogliono i ricchi e vogliono essere ricchi, vogliamo i ricchi e vogliamo essere ricchi. Vogliamo tutelare i nostri interessi nel mondo, non quelli dei poveracci. Il povero giace alla porta del ricco coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa del ricco. I cani vengono a leccargli le piaghe. I cani, gli uomini no: è rara la fede e la pietà. Alle volte sembra che chi ha fede non ha pietà e chi ha pietà non ha fede.
Terminiamo questa nostra riflessione, nel giorno di carnevale, con una poesia di Turoldo rivolta a Dio.
Ma tu non avevi lacrime
A noi invece era dato piangere.
Questo, forse, ti sospinse fra noi?
Non ti apparteneva il fiotto azzurro di queste vene
che pure avevi scavato nella nostra carne.
Tu senza misteri
Tu senza il rischio di questa esistenza
Sempre giocata nell’incertezza del tempo defettibile,
nella continua paura di non esistere.
Tu dovevi essere felice e noi perduti.
Così sei venuto a cercare i cibi delle tue creature maledette,
a farti carne di peccato, mentre ti donavi.
E ciò solo noi ti invidiamo:
questo potere tu perdonarci.
Noi non siamo il posto che occupiamo, noi valiamo a prescindere, e pensare di valere di più perché sediamo in quel posto è solo un’illusione pericolosa. Dobbiamo comprendere che il nostro valore è assoluto e non relativo.
L.M. Epicoco
Voler essere “più grandi” rivela che nel cuore dell’uomo si annida l’ombra e la paura dell’insignificanza, del sentirsi non amati e il desiderio, quindi, di essere diversi, sempre un po’ più in alto, sempre più amabili, sempre più meritevoli di attenzioni. L’egoismo e il protagonismo diventano il criterio di azione di chi non si ama e non si sente amato.
Napolitano
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è un’immensa menzogna che uno racconta a se stesso.
Se ami il prossimo senza amare Dio, che amore è questo?
È l’istinto del gregge e il gusto del calore e del tanfo della moltitudine,
è la paura di stare da soli, è il piacere di strofinarsi agli altri
oppure odio in comune di qualche altro gregge.
Se ami te stesso senza amare né Dio né il prossimo
questo amore è il contrario dell’amore.
Ma se ami Dio e il prossimo senza amare te stesso, l’amor tuo non è un dono,
poiché non si può far dono di ciò che non si ama;
è il contrario di un dono: è un oblio; è il contrario di un sacrificio: è un suicidio.
È perdita, non amore, poiché in te non vi è nessuno che possa amare.
Ordunque, ama Dio per amore del prossimo e di te stesso
ama il prossimo per amore di Dio e di te stesso
ama te stesso per amore del prossimo e di Dio.
Non opporre gli opposti, anzi congiungili nell’amore”.
Lanza del Vasto