Padre Dehon ha compreso di vivere in un tempo di notevoli cambiamenti.
Ha intuito un cammino di rinnovamento da percorrere e ha dato il suo contributo.
Usiamo espressioni molteplici per indicare che il tempo non è statico ma dinamico: «i tempi sono cambiati», «non sono più i tempi di una volta», «sei fuori dal tempo», «stai al passo dei tempi»…
Anche se apparentemente si ripete nelle stagioni, in realtà il tempo non è ciclico – “kronos” – ma si snoda in avanti – “kairòs” – e si evolve verso un compimento.
Siamo chiamati a «vivere nel nostro tempo», consapevoli che «i tempi cambiano». È importante perciò stare «al passo dei tempi», il che non significa accogliere ogni cambiamento superficiale e passeggero, ma cogliere quello profondo che segna il passaggio ad un nuovo modo di sentire, agire, pensare, relazionarsi, e incide profondamente nel tessuto sociale ed ecclesiale. Diversamente siamo «tagliati fuori».
Parliamo di periodi storici, cambiamenti epocali provocati da fattori molteplici che toccano la natura, lo sviluppo tecnologico, il pensiero sociale e religioso. Dentro questi mutamenti si snoda il vissuto umano.
Comunità in cammino
La Chiesa vive nella storia, partecipa al vissuto delle persone, ha attraversato ventuno secoli in fedeltà dinamica al Vangelo. Si sente guidata dallo Spirito di Cristo che la illumina e la sostiene nel fare discernimento su ciò che va accolto dei molteplici cambiamenti in atto. Si mantiene libera di esprimere ciò che ritiene utile all’uomo e al suo destino e critica nel denunciare ciò che lo condiziona in modo negativo. La sua missione è di essere maestra e madre.
Ogni battezzato è chiamato a sentirsi parte attiva e responsabile nel tessuto ecclesiale e sociale del suo tempo.

Dice il Concilio Vaticano II che «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et Spes 1).
Questa assunzione di responsabilità li rende attivi e vigilanti, aperti a cogliere «l’oggi di Dio» attraverso un continuo discernimento e conversione per stare al passo con l’evolvere dei tempi.
Periodo storico complesso
Il periodo storico in cui è vissuto p. Dehon – secondo ottocento e venticinque anni del novecento – risente fortemente dell’influsso della “rivoluzione francese” e dei suoi principi innovatori. Essa ha mirato ad appropriarsi delle coscienze dei francesi strappandole all’influsso della Chiesa – tentando di distruggerla dalle fondamenta – trovando un buon apporto dal positivismo scientista.
Le promesse rivoluzionarie però furono compromesse dalla complessità degli eventi, che svilupparono malessere sociale e bisogno di ritrovato equilibrio. Da qui i tentativi di restaurazione da parte dei nobili e dei monarchici che aprirono la strada a Napoleone e successori. Si ha lo strascico dei disordini nel 1848, delle violenze della Comune nel 1871 e il successivo ripristino della repubblica con i connotati di anticlericalismo.
L’azione dei Pontefici tenta una riconciliazione stabile fra Stato e Chiesa, ma il clima anticattolico e anticlericale la rende difficile. I tentativi precari di Pio IX e Leone XIII hanno effetto con Benedetto XV e Pio XI. Si giungerà a un reciproco rispetto.
Interprete del suo tempo
P. Dehon si trova a vivere in questo contesto storico. L’inserimento nelle attività pastorali lo pongono a diretto contatto con la complessità sociale ed ecclesiale. Si rende conto che sta avvenendo un cambiamento storico per la sua patria e che le categorie pastorali e sociali in atto sono inadeguate.
Vive una triplice problematica: la contrapposizione tra spirito repubblicano avviato dalla rivoluzione e spirito della restaurazione monarchica; le complessità derivanti dalla “rivoluzione industriale” che accentua le disparità tra i ceti sociali e provoca grosse sacche di povertà; l’azione pastorale della Chiesa ferma su modalità ancorate al passato e incerte sul presente.
Personalmente coltiva una inclinazione monarchica, che trova più rispettosa dei valori del Vangelo e più idonea a ripristinare il tessuto cristiano. Sposa la causa del montanesimo che guarda a Roma e vede nella persona del Papa una guida sicura per la vita della Chiesa e gli orientamenti da assumere.
Vive in modo attivo il dibattito tra cattolici liberali e cattolici conservatori, sviluppatosi nella seconda metà del secolo. Rimane aperto a possibilità innovative che rendano possibile il dialogo in una società sempre più scristianizzata.
Infatti l’azione corrosiva anticristiana aveva sempre più allontanato la società, soprattutto borghesia e mondo operaio, dal vissuto credente. Il ritorno dei repubblicani al potere, dopo la caduta della monarchia con la sconfitta di Sedan (1870), accentua la contrapposizione con la Chiesa servendosi anche dell’appoggio del protestantesimo liberale, del positivismo, dell’esegesi “scientifica” che disorienta. Nonostante questo, egli matura la convinzione che «il secolo, invecchiato, si ricrede dei suoi molteplici sbandamenti. Sente nostalgia della fede».
Purtroppo il clero è impotente di fronte a una cultura che corrode l’impostazione pastorale esistente, perché impreparato, e tende a chiudersi sulle proprie posizioni. P. Dehon avverte questo vuoto di cultura e si propone di essere apostolo degli studi superiori a sostegno di una formazione idonea dei sacerdoti. È convinto che «dopo l’era dei martiri (sotto la rivoluzione) deve sorgere l’era dei dotti». Questo avviene con la fondazione di università libere, con il rinnovamento degli studi teologici e l’impegno di personalità nell’ambito della cultura, della spiritualità e della apologetica.
Nel vivo del dibattito costruttivo
P. Dehon contribuisce personalmente con la formazione nell’ambito sociale, forte del mandato di Leone XIII di diffondere le sue encicliche. Questo lo porta a maturare una diversa sensibilità nel modo di porsi nel vissuto sociale ed ecclesiale. Abbandona la posizione monarchica e si apre alle istanze della democrazia. Questa vede nella libertà un diritto di tutti ed è a favore di un accordo fra la Chiesa e il mondo moderno. Egli ha il coraggio di rivedere le sue posizioni e si allinea alla sensibilità di Papa Leone XIII il quale tenta il dialogo con le nuove istanze della società francese. Sviluppa l’azione pastorale nel settore della formazione sociale secondo i principi dell’enciclica Rerum Novarum. Fa parte dei cosiddetti “preti democratici”, è convinto che i tempi richiedono un cambio di passo perché la sensibilità e l’azione politica sono cambiate.
Il momento storico è difficile per la Chiesa, perché il potere è in mano ai repubblicani che agiscono per sradicare i principi cristiani. Scrive p. Dehon: «Le leggi malvagie si moltiplicano. La framassoneria regna sovrana … Possano le sofferenze dei giusti ottenere il perdono dei tiranni». Eppure egli crede nel dialogo e trova in Leone XIII la conferma. Il Papa infatti, nonostante le difficoltà, insiste per trovare un’intesa con i governi repubblicani sempre più ostili alla Chiesa. Si rende conto che solo un rapporto dialogante può evitare conseguenze dirompenti.
Cogliere l’oggi di Dio
Non è facile cambiare il proprio punto di vista. Solo una attenta lettura del momento storico e uno spassionato desiderio del bene comune permette di rivisitare le proprie posizioni. Questa è saggezza umana e profezia evangelica.
P. Dehon coglie il monito di Gesù che invita a saper interpretare i segni dei tempi (Mt 16,3) e comprende che il momento storico della Francia richiedeva un cambiamento di prospettiva, anche se il contesto non era favorevole.
Personalmente viveva le difficoltà riguardanti l’avvio del suo nuovo Istituto. Da Roma era giunta l’ingiunzione di chiuderlo. Questo forte dispiacere non lo ha distolto dal tenere vivo l’interesse e l’impegno in ambito sociale; al contrario, lo ha mantenuto impegnato per la causa del dialogo con chi agiva contro la Chiesa.
La spiritualità dell’abbandono e della ricerca dell’unità – pilastri del carisma dell’Istituto appena fondato – lo ha portato a stare in prima linea, ad apparire perdente di fronte alla reazione vigorosa dei cattolici intransigenti, sempre fiducioso di interpretare in modo giusto il momento storico. Non ha avuto la grazia di godere i risultati di una intesa tra potere politico e Chiesa, avvenuto dopo la sua morte. Gli va, tuttavia, riconosciuto il coraggio profetico di avere intuito la strada da percorrere, in sintonia con il Papa, sorretto dalla consapevolezza del cambiamento storico in atto. Non si è trincerato dietro le sicurezze acquisite, ma ha saputo rivederle e assumere nuove categorie interpretative che gli hanno permesso di essere “al passo dei tempi”.
Le Costituzioni della Congregazione interpretano bene il suo carisma nel dire che «alla sequela del Fondatore, secondo i segni dei tempi e in comunione con la vita della Chiesa, vogliamo contribuire a instaurare il regno della giustizia e della carità cristiana nel mondo».
