Siamo nati alla fede in seno alla Chiesa.
Ci è abituale chiamarla “nostra madre”.
Anche se compromessa dai tanti peccati dei suoi figli,
li accoglie sempre nel suo grembo con amore materno.
Non c’è pienezza di spiritualità senza l’inclusione amorosa
di colei che Cristo ha eletta come sua sposa.
Il fonte battesimale segna l’accoglienza nella vita della Chiesa, innesta nel vissuto del popolo di Dio redento dal sangue di Cristo, sviluppa un legame che attraversa i confini e il tempo. Tutti ci riconosciamo legati nell’amore di Cristo, in profonda simbiosi alla sua persona, in cordata verso la meta ultima, sostenuti dalla grazia dello Spirito.
Paolo ci ricorda che «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1Cor 12,13).
Chiesa santa e peccatrice
Proprio perché formata da persone, la Chiesa presenta un volto ambivalente. In essa convivono bene e male, santità e peccato, slancio e mediocrità. E sempre sarà così. Tuttavia ha la certezza di camminare nel tempo garantita dal suo Signore, che ha detto:«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Questo non la esenta da un cammino di continua conversione, anzi è chiamata da Gesù stesso a stare in stato di “revisione perpetua”: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Il suo grande peccato sta nella sicumera di ritenersi perfetta, non bisognosa di cambiamento. Il motto “ecclesia semper reformanda” rimane attuale, perché l’inclinazione al male è la “ferita antica” che ha segnato tutti: siamo peccatori e sempre bisognosi di conversione.
Dio sì, Chiesa no
Di fronte alle incoerenze e ai peccati dei cristiani, molti rifiutano la Chiesa quale mediatrice della grazia divina. Saltano ogni mediazione e si rapportano direttamente con Dio. Dimenticano così di guardarsi in profondità e di riconoscere anche le proprie fragilità. La frase di Gesù: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7), suona sempre di ammonimento per quanti dimenticano o nascondono le proprie incoerenze e peccati.
A una persona che si è convertita al cattolicesimo, è stato chiesto il motivo di tale scelta. Originale la risposta: «Se la Chiesa nei secoli non si è rovinata da sola, per le molteplici realtà di scandalo dei cristiani, significa che è di origine divina». Proprio i peccati dei battezzati gli hanno fatto scoprire la realtà più profonda della Chiesa, il suo mistero.
Dipende da come la si considera: se istituzione che si regola con logiche puramente umane o se comunità di battezzati impegnati a vivere secondo il Vangelo, pur con le inevitabili contraddizioni. Se si considera la Chiesa come dono di Cristo, al centro si pone il suo mistero e la sua santità, e si comprendono le inevitabili mancanze umane. Se inoltre la si considera come madre, si mantiene sempre un legame di affetto filiale, anche nelle incoerenze: non si condanna senza appello la propria madre.
L’acqua è più pura alla fonte
Dehon ha sempre una positiva considerazione della Chiesa, seppur ne coglie le incongruenze. Si sente parte viva della sua realtà. Quando decide di intraprendere la strada del sacerdozio, sceglie di vivere a Roma gli anni della preparazione in seminario, portando questa motivazione: «La logica del mio spirito mi diceva che l’acqua è più pura alla sorgente che nel ruscello, la dottrina e la pietà si attingono più facilmente al centro della Chiesa che altrove». L sue aspettative non sono state deluse.
Viene a contatto con il mondo accademico dell’università Gregoriana, ricco di apporti anche innovativi. Siamo negli anni di Papa Pio IX, in cui è stato proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione e celebrato il Concilio Vaticano I. P. Dehon ha l’opportunità di vivere di persona il Concilio, come stenografo: «Avevo toccato con mano la vita della Chiesa e acquistato, in un anno, più esperienza che in 10 anni di vita ordinaria». La tematica sull’infallibilità del Papa è stata motivo di acceso dibattito e di contrapposizioni. Il giovane Leone coglie la complessità e, nel contempo, la ricchezza di apporti e di vedute, che gli allargano gli orizzonti. Si rende conto del momento delicato e di transizione che vive la Chiesa; è provocato nelle sue stesse idee piuttosto conservatrici. Rafforza il suo amore al Papa e alla Chiesa universale.
Non si limita ai momenti istituzionali e agli studi, ma vive esperienze di catechesi ai ragazzi, di carità in favore dei poveri, di inserimento nel Terz’ordine francescano e partecipa alla varietà di espressioni pubbliche della religiosità popolare. Cresce nel fattivo impegno e nel “sentire con la Chiesa”.
In prossimità di lasciare Roma, così esprime l’esperienza vissuta: «Vi ho passato degli anni molto pieni, ben impiegati e dei quali non conoscerò la preziosità che in cielo. La mia consolazione è di portare via dei grandi tesori, come il sacerdozio, la scienza ecclesiastica, buone abitudini e deliziosi ricordi». Vi ritornerà sovente a Roma e molto volentieri.
A servizio della Chiesa
L’amore per la Chiesa si è mantenuto nel tempo, anzi è andato aumentando nella concretezza del quotidiano. L’obbedienza al Vescovo l’ha posto nella parrocchia di Saint Quintin, città in pieno sviluppo industriale nel nord est della Francia. Grande il disagio iniziale, perché inserito in un ambiente imprevisto, poco in sintonia con le sue attese e propensioni all’insegnamento.
Qui si è dimostrata la sua capacità di reazione e di adattamento, sostenuto dalla motivazione portante di mantenersi a servizio della Chiesa. Non ripetitivo dell’impostazione pastorale in atto, ma creativo. Non solo celebrazioni liturgiche e amministrazione dei sacramenti, ma dinamismo formativo alle fasce di persone più bisognose. Da qui l’attenzione ai ragazzi, ai giovani, agli operai per i quali crea il Patronato S. Giuseppe, in cui alterna momenti ricreativi e formativi, evitando loro la strada e le osterie.
Giunge a fondare un Collegio nel quale investe molto dei suoi beni personali e familiari. Tutto per dare una istruzione e un diploma ai ragazzi per un inserimento sociale idoneo. La sua preparazione culturale gli permette di avventurarsi nella fondazione di un giornale – Le Conservateur de L’Aisne – per offrire una prospettiva cristiana sulla realtà civile ed ecclesiale.
La sua azione formativa si allarga alla diocesi. Si sente supportato dal Vescovo e tutto compie in comunione con lui. Nascono incontri con i sacerdoti che faticano a cogliere il momento sociale ed ecclesiale in trasformazione e agiscono ancorati su posizioni consuetudinarie. Il pensiero moderno è sconosciuto, lo studio della Scrittura è in funzione della teologia, la storia ecclesiastica ha finalità apologetica. Manca l’aggancio al contesto fortemente in evoluzione. La carenza di cultura è particolarmente grave nel basso clero; da qui l’impegno a formarlo.
Una cosa gli sta a cuore: che i preti escano dalle sacrestie e incontrino le persone, stiano a vivo contatto con le situazioni problematiche.
Ma l’amore per la Chiesa lo porta a interessarsi anche del mondo del lavoro, sia degli operai come degli imprenditori. Anche per loro organizza incontri, congressi. È supportato dai contenuti dell’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII. Apre a nuovi orizzonti: diritti e doveri, istanze di giustizia sociale, salari idonei al mantenimento della famiglia, non utilizzo dei ragazzi in fabbrica…
Tutto in nome della giustizia e della carità cristiana; tutto perché animato dall’amore per la Chiesa, che è chiamata per vocazione ad agire per il bene delle persone e della società. Il suo agire si armonizza con una forte carica spirituale che lo alimenta interiormente. Sviluppa una spiritualità che si radica in Cristo e si esprime nel dono di sé in risposta alle esigenze del territorio.
Nel Direttorio spirituale – testo che presenta in modo completo la sua spiritualità che ha consegnato alla Congregazione da lui fondata – così si esprime sulla Chiesa: «Dobbiamo amare la Chiesa ed esserle sottomessi come figli. Essa è tanto amata dal Cuore di Gesù! È la sposa di nostro Signore. La loro unione è celebrata nel Cantico dei cantici. San Giovanni esalta la Chiesa nell’Apocalisse. Per la Chiesa Cristo è morto e per lei ha istituto l’Eucaristia. Cristo vive in lei e le ha dato tutta la sua autorità e tutte le sue grazie. Amiamola in se stessa, nel suo capo visibile, nei suoi ministri, nei suoi insegnamenti, nella sua liturgia, nelle sue leggi. Veneriamola come nostra madre» (n. 200).
Nelle Costituzioni della Congregazione, leggiamo: «Padre Dehon è sensibile al peccato che indebolisce la Chiesa, soprattutto da parte delle anime consacrate. Conosce i mali della società; ne ha studiato attentamente le cause, sul piano umano, personale e sociale. Ma ravvisa la causa più profonda di questa miseria umana nel rifiuto dell’amore di Cristo. Preso da questo amore misconosciuto, vuole darvi risposta con una unione intima al Cuore di Cristo, e con l’instaurazione del suo Regno nelle anime e nella società» (Cst 4).