La vocazione a cui siamo chiamati è l’amore vero, maturo,
che si dona senza attendere il ricambio, pago del bene che compie: l’amore oblativo
Amore e oblazione sono il cuore della spiritualità dehoniana. Prima ancora, sono il nucleo della maturità umana: la persona raggiunge la sua piena espressività adulta quando agisce all’insegna dell’amore che si dona, oblativo. Non è un dato scontato ritenere che tale meta venga raggiunta con l’età, in risposta a meccanismi precostituiti. Lo stesso avviene nella crescita spirituale: è richiesta la corrispondenza alla grazia, un cammino di apertura all’azione dello Spirito, che porta a uno stile virtuoso.
Crescita fisica, psichica e spirituale non sempre evolvono in modo direttamente proporzionale. Possono avere un processo disarmonico. Infatti troviamo persone molto sviluppate fisicamente, ma non altrettanto a livello umano e spirituale. In certi corpi adulti emerge una psiche immatura e un sentire morale e spirituale non adeguato, stagnante a stadi precedenti dello sviluppo.
Nasciamo psichicamente autoreferenziali: nel bimbo la parola chiave è “io” “mio”, tutto è visto in riferimento a sé; fondamentale è la ricerca di autogratificazione. Seppur senza connotazione morale, possiamo definirlo “manipolatore”. Ritiene che tutto gli sia permesso e che tutti siano al suo servizio. È certamente un “tirabaci”, ma chiamato a fare un cammino di graduale apertura al mondo che lo circonda e sempre più consapevole che l’amare è nella duplice direzione dell’avere e del dare.
La figura geometrica che meglio ci permette di comprendere la linea del nostro sviluppo complessivo è quella del rettangolo attraversato dalla diagonale. Partendo da sinistra, vediamo che nella parte bassa, dove parte la diagonale, abbiamo l’apertura d’angolo minima e nella parte sovravrastante è massima: minimo di apertura altruistica, massimo di estensione egocentrica. Proseguendo verso destra, vediamo che le due dimensioni si invertono: sempre maggiore apertura altruistica, sempre minore concentrazione su di sé. Abbiamo un cammino inversamente proporzionale: è la dinamica che porta alla maturità complessiva. Il tutto deve essere a favore della dimensione oblativa: sempre più capaci di apertura alla realtà circostante, sempre più disponibili a offrire amore in modo gratuito.
Dalla filìa all’agàpe
La capacità di amare ha due connotazioni: offrire amore a chi lo merita e offrirlo anche a chi non lo merita. La spinta naturale ci porta alla logica del “tu mi dai, io ti do”, quella matura ci apre alla logica del “io ti do, anche se tu non mi dai”. C’è il passaggio dall’amore interessato a quello gratuito. Si ha il superamento dell’amore motivato dalla risposta conveniente, a quello che va oltre e arriva a quella del cuore grande, del bene in quanto tale.
Queste due forme di amare non si escludono. Esse esprimono la condizione della maturità complessiva delle persone. Come raggiungerla? Lasciandosi plasmare dall’azione educativa, affinando la sensibilità naturale che ci porta ad una graduale apertura all’altro, accogliendo i valori forti della generosità, dell’altruismo, della fede. Il cristiano guarda a Cristo e si propone di seguirlo e di imitarlo nell’amore-agàpe.
«Come io vi ho amati»
Questa frase di Gesù indica l’esemplarità che egli ha dato nel volere bene (Gv 13,34). Può suonare un po’ pretenziosa, in realtà nasce dalla sua consapevolezza di essersi prodigato positivamente verso tutti, di avere amato in sincerità e verità. Non ha trovato la via spianata dell’applauso, ha dovuto affrontare incomprensioni e ostilità. Questo non gli ha impedito di superare la logica del tornaconto e di sposare invece quella dell’amore oblativo, che lo ha portato a dare la vita. Per questo ha detto aglii apostoli, nell’imminenza della sua passione, quale suo testamento spirituale e comandamento nuovo: «così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34), ripetendolo due volte nella stessa frase. Questa è l’esemplarità che ogni cristiano è chiamato ad assumere.
Ecco, io vengo
P. Dehon ha mirato a conformarsi a Cristo nella radicalità dell’amore e a questo ha orientato i religiosi del suo istituto: un volere bene senza condizioni, un amare che si manifesti soprattutto nel compiere fino in fondo la volontà del Signore. Ha scelto il motto “Ecco, io vengo” – usato dalla lettera agli Ebrei per indicare la disponibilità di Gesù al Padre (Eb 10,7) – per esprimere la radicalità dell’amore. Egli dice che Cristo è «oblato» del Padre, offerto a Lui e agli uomini: è sempre vissuto in atteggiamento di piena disponibilità.
P. Dehon ha vissuto nella sua carne l’impegno di vivere la radicale disponibilità. Basti ricordare quando si è visto recapitare da Roma la lettera che comunicava la soppressione del suo primo tentativo di fondare l’istituto: gli Oblati del Sacro Cuore. Si è sentito morire dal dispiacere, ma ha offerto tutto nella fede e ha mantenuto inalterato l’amore alla Chiesa.
Ha chiesto ai suoi religiosi che l’amore avesse le caratteristiche della radicalità. Voleva che la Santa Sede approvasse il quarto voto da lui proposto, quello di “vittima”: amare sempre, in ogni situazione, e offrire tutto in spirito di riparazione. Inoltre ha indicato che l’impegno apostolico venisse indirizzato soprattutto verso i contesti di emarginazione, dove più preme il bisogno di una presenza generosa. Lì si doveva esprimere maggiormente la carità apostolica, perché più bisognosi della solidarietà e della promozione sociale.
Amare è una parola bella, ma impegnativa. Se presa sul serio, spossessa dalle proprie sicurezze, porta a consegnarsi, a consumarsi per idealità alte, diventa «oblazione amorosa». L’ecce venio diventa «la massima favorita degli amici del suo Cuore… Per noi la nostra oblazione dovrà essere, sull’esempio di quella di Nostro Signore, generosa, totale ed eterna», scrive p. Dehon.
La via dehoniana trova la sua precisa caratteristica in questa oblazione che è la santità nel quotidiano. Essa invita ad aderire il più totalmente possibile a Cristo nell’istante presente. Nulla esige di eccezionale, se non questa tenace fedeltà nel qui e nell’adesso.
Pur dinamici dentro attività anche di avanguardia, giustamente p. Dehon ha scritto: «Dio non sa che farsene del nostro sapere e delle nostre opere se non possiede il nostro cuore».
Le nuove costituzioni mettono in risalto, con accentuazioni diverse, questo aspetto dell’amore oblativo: «Coinvolti nel peccato, ma partecipi della grazia redentrice, col servizio dei nostri diversi compiti, vogliamo essere in comunione con Cristo, presente nella vita del mondo, e in solidarietà con lui e con tutta l’umanità e tutto il creato, offrirci al Padre, come un’oblazione vivente, santa e a lui gradita (cf. Rm 12,1)».