Ascolta. Parla il silenzio

da | 22 Aprile 2022 | Testimonianze

Il meglio non è ancora stato sentito. Il meglio è tra le righe

“Non tutti i silenzi sono uguali.
Come, grazie alla consapevolezza del vivere, si diventa sensibili alla luce, alle diverse sfumature di luce in diversi luoghi, in differenti momenti della giornata e delle stagioni, così si colgono miriadi di sfumature nei silenzi nostri e altrui, silenzi umani, silenzi degli animali, degli alberi, silenzi minerali.
Il silenzio non è tacere né mettere a tacere, è un invito, è stare in compagnia di qualcosa di tenero e avvolgente, dove tutto è già stato detto. Il silenzio sorride.
Caro silenzio, aiutami a non parlare di te, aiutami ad abitarti. Addestrami. Disarmami.
Tu mi insegni a parlare. Eccomi, mi lascio rapire. Non lascio niente a casa, niente di intentato. Ci sono. In te. Arte del congedo per ritrovare.
Arte dell’a-capo che insegna a lasciarsi scrivere. Il silenzio semina. Le parole raccolgono.
Il silenzio è cosa viva.” 

Chandra Livia Candiani

Ascolta. Parla il silenzio.
“Il silenzio è cosa viva” – dice la Candiani.
Percepisco le sue parole come un invito a mettere da parte il fare per poter essere: non dobbiamo arrivare a fare silenzio, ma ad essere silenziosi, dobbiamo sforzarci di far tacere le attività della vita, per svuotarci e lasciarsi seminare dal silenzio.
“Essere in se stessi. Essere soltanto. Silenzio” – diceva Etty Hillesum.
E solo quanto tutto dentro di noi tacerà, l’ascolto, quello vero, di noi stessi, degli altri, di Dio, potrà prendere vita.

Ascolta. Parla il silenzio.
E risuonano altre parole del diario di Etty:
“Oggi voglio ritirarmi a riposare nel mio silenzio: nello spazio del mio silenzio interiore a cui chiedo ospitalità per un giorno intero”
Viviamo sommersi dal chiacchiericcio, annegati da miriadi di parole superficiali, banali, scontate, vuote e in tutte queste parole, nostre e degli altri, ci perdiamo, perdiamo noi stessi.
Abbiamo bisogno di ritrovarci, di metterci in contatto con il nostro sé profondo, per riconoscere e lasciar sbocciare ciò che dorme dentro di noi. Non può essere qualcuno o qualcosa di esterno a dirci chi siamo: la sorgente è dentro di noi e solo il silenzio, vissuto come accoglienza di noi stessi, potrà farla sgorgare. 

Ascolta. Parla il silenzio.
Khalil Gibran diceva che
“La realtà dell’altro non è in quello che rivela, ma in ciò che non può rivelare; per cui, se si vuole veramente capirlo, non bisogna ascoltare le parole che egli dice, ma quelle che non dice”.
Noi non siamo più capaci di ascoltare nessuno. O meglio sentiamo tutti, ma solo per giudicarli secondo i nostri schemi mentali. E così uccidiamo il mistero che è nell’altro, uccidiamo la relazione.
Se invece ascoltassimo questo mistero nel silenzio di un cuore che batte, le nostre relazioni sarebbero feconde e generative, perché permetteremmo agli altri di manifestarsi nella propria verità, di emergere per quello che realmente sono, non per quello che noi decidiamo dovrebbero essere.

Ascolta. Parla il Silenzio.
E mi lascio guidare ancora una volta dalle parole di Etty:
“L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: (…) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”.
Chi più di coloro che hanno vissuto le atrocità di Auschwitz, dei campi di concentramento e della guerra, allora come oggi, potrebbe gridare la drammatica esperienza del silenzio di Dio di fronte a tali orrori. Eppure Etty testimonia che proprio quando sperimentiamo l’abbandono di Dio, se ci apriamo al divino che ci abita, ci accorgiamo che Lui non è assente, ma presente e sta lavorando silenziosamente dentro di noi, dentro la nostra storia. Anche se sembra non rispondere alle nostre invocazioni, anche se non interviene come vorremmo noi, anche se sembra tacere, Lui non tace: se sappiamo far silenzio in noi, lui parla al nostro cuore, perché Dio è silenzio e il silenzio è Dio.

Ascolta. Parla il silenzio.

Eccomi sdraiata nel prato. Ora non voglio pensare alle cose che ho da fare, voglio solo essere. Essere per percepire, accogliere, toccare la vita. Essere un tutt’uno con la terra umida che mi ha adottata, con il canto dei merli, con la luce e il calore che sento invadermi anche con gli occhi chiusi, con i piccoli soffi di brezza leggera, il ronzio di un’ape o una mosca, non so.
Il mio cuore raddoppia il battito guidato dal becco del picchio sul tronco. Vorrei forse sapere su qualche albero si trova per tentare di scorgerlo, ma non importa… non voglio fare, voglio essere.
Ma non tutto è armonia. Ci sono i rumori della strada, un aereo che passa, il rintocco delle campane, le voci di chi chiacchiera in giardino. Mi infastidiscono, mi distraggono, eppure non posso eluderli, fanno anch’essi parte della realtà mentre sono qui sdraiata nel prato. “Dio non può essere nei cieli”. E’ qui con me, in tutti questi suoni e in nessuno.
Voglio essere grembo per percepirlo, per accoglierlo e lasciarmi trasformare. Voglio essere grembo per tutti questi suoni, perché aprono la via per un silenzio generativo in cui sentirmi chiamata per nome, in cui lasciarmi fecondare per ritrovare me stessa nella verità di ciò che sono e non di ciò che vorrei essere. E da lì ripartire. Voglio essere silenziosa perché “Il meglio non l’ho ancora sentito, il meglio è tra le righe”.

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