Al porto di Savona ho visto ormeggiate tantissime barche di diversi tipi: grandi, piccole, verniciate di recente o dai colori ormai consunti, barche a remi, barche a vela, motoscafi, cabinati, yacht… Osservandole, mi sono tornate alla mente le parole di uno scritto di Jaques Brel che ho sempre apprezzato molto:
Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.
Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.
Jaques Brel
Mi piace pensare alla vita come un mare, sulle cui acque a volte si riflettono i raggi del sole e altre volte invece si alzano tempeste burrascose, un mare sotto un cielo limpido, che consente di veder chiaramente l’orizzonte o su cui talvolta si alza la bruma, che non ti consente di capire ciò che ti attende. E su questo mare sempre in divenire, a patto di non restare ancorata in porto, mi piace pensarmi come una piccola barchetta.
Arriva per tutti il momento in cui la vita ci chiama a lasciare il porto delle nostre certezze, delle nostre sicurezze, per navigare in mare aperto, eppure molti sono quelli che, volendo conoscere tutto in anticipo del viaggio che li aspetta o controllarne ogni singolo minuto e rendendosi conto di non poterlo fare, preferiscono non partire nemmeno.
Una cosa è certa: qualunque sia la meta, mettersi in viaggio cambia! E il cambiamento spaventa.
Per taluni è meglio lasciarsi cullare dal rollio delle onde in porto; è più sicuro, ma così rinunciano alla scoperta di quanto li circonda e anche di se stessi. Perché nessuno di noi può dire di conoscersi davvero a fondo, se non quando fa esperienza di qualcosa e poi dedica del tempo a rileggere il proprio vissuto.
Tanti sono anche quelli che non intendono mettersi in viaggio per pigrizia o, peggio ancora, per mancanza di desiderio. Si accontentano della vista dell’orizzonte che hanno davanti, perché si percepiscono già arrivati e non sentono la spinta a continuare un cammino di crescita personale, oppure perché sanno che andare per mare costa fatica e spesso, molto spesso, sofferenza. Meglio non abbandonare il conosciuto, anche se ci rendiamo conto che ci è venuto a noia. Meglio insoddisfatti, ma al sicuro, che esplorare nuovi scenari e mettersi in gioco, compromettersi e rischiare di incappare in qualche meta dolorosa; meglio arrugginire in porto, che rischiare di capovolgersi in acqua o, peggio, rientrare con qualche ammaccatura o squarcio nello scafo.
A me andare per mare comunica una sensazione di leggerezza, di libertà, di vita.
Adoro sentire il vento sulla pelle, gli spruzzi d’acqua e il sole sul viso. E che dono grande è poter partire per sempre nuove avventure, scoprire luoghi inesplorati, tornare in porto arricchiti da quanto si è vissuto e pronti a rituffarsi in mare aperto non appena fatto rifornimenti!
E ciononostante credo sia riduttivo pensare di risollevare l’ancora solo quando il viaggio precedente è andato bene e sei tornato in porto contento, col solo desiderio di ripartire sotto la spinta dell’entusiasmo, quando i tuoi sogni ti fanno sentire vivo e carico di energia o la curiosità ti spinge a imparare sempre cose nuove o perché sai, o immagini, che là fuori c’è tanta bellezza tutta da scoprire.
Credo che siamo chiamati a lasciare il porto anche se sappiamo che là fuori prima o poi ci aspetta la tempesta e la nostra barca può essere danneggiata, a volte anche gravemente.
Conosco delle barche che hanno ripreso il mare anche dopo aver perduto il lavoro: pur di non lasciarsi andare allo sconforto e alla depressione, come purtroppo accade a molte altre, si sono reinventate o hanno accettato incarichi più umili e modesti, da portare avanti con fierezza, dignità e amore.
Conosco delle barche che, con grande fiducia nella Provvidenza, hanno deciso di non farsi bloccare in porto, anche dopo che un incendio gli ha distrutto la casa e con essa hanno perso tutti i risparmi di una vita.
Conosco delle barche che dopo aver affrontato la tempesta della morte di una persona cara – del compagno di una vita, di un figlio, di un fratello o una sorella – seppure con tutta la sofferenza che la perdita portava con sé e il peso che il continuare a vivere comportava, hanno rimesso lo scafo in mare, ritenendo gioia e dolore doni preziosi in ugual misura e nella consapevolezza che la vita bisogna avere il coraggio di viverla sempre, soprattutto nei momenti di fatica e di sofferenza, nella certezza che una perla è sicuramente nascosta dentro ogni grande difficoltà. Sta solo a noi portarla alla luce.
Conosco delle barche che hanno deciso di non smettere di navigare nemmeno quando si sono trovate nelle acque della malattia e degli incidenti inabilitanti e, ritenendo la vita un dono prezioso, che nulla ha il diritto di mettere in stand-by, hanno continuato a combattere – a volte avendo la meglio, a volte arrivando all’ultimo viaggio – riscoprendo per loro stesse e i propri cari la gratitudine per il tempo presente perché, arrivano a dirti, “Non è importante quanto vivi, ma come vivi”.
Sono convinta che ogni viaggio che abbiamo l’opportunità e la forza di compiere sia un dono grande perché, se da una parte continuare a navigare ci permette di acquistare sempre maggior sicurezza in noi stessi e fiducia che siamo stati creati con le capacità, la creatività e gli strumenti per non fermarci, dall’altro il viaggio mette forzatamente in luce le nostre debolezze e fragilità, la nostra umanità, portandoci alla consapevolezza che da soli nessuna meta può essere raggiunta. Siamo barche chiamate a navigare in gruppo, una accanto all’altra, per condividere ogni bellezza e ogni difficoltà del viaggio, per aiutarci a vicenda nei momenti di tempesta e per “straboccare insieme di sole”.
Se poi permettiamo al Signore di salire in barca e di timonare insieme a noi, navigare cuore a cuore con Lui, ci renderà sorprendentemente più naturale e bello durante il nostro ultimo viaggio spiegare le vele del nostro cuore, perché esso sarà già a misura dell’Oceano che ci attende.