Siamo chiamati a fare spazio all’azione dello Spirito in noi e,
forti della sua grazia,
aderire a Cristo nella gratuità dell’amore fedele e solidale.
Uno dei pilastri della spiritualità dehoniana è la riparazione. P. Dehon, alla luce della sensibilità del suo tempo, così ne parla nel direttorio spirituale: «Vi sono certamente dei cuori che comprendono l’amore di nostro Signore e vi corrispondono; ma sono pochi a confronto di coloro che non vogliono comprenderlo e si accontentano di essere solo apparentemente suoi amici e suoi discepoli. Per questa ingiustizia che gli è fatta ed è quotidianamente rinnovata, Gesù domanda compensazione, cerca riparazione: “Mi aspettavo compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati” (Sal 69,21). È lo stesso lamento che nostro Signore rivolgeva a S. Margherita Maria. Mostrando il suo Cuore ferito, diceva: “Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini e non riceve dalla maggior parte di essi, che ingratitudine, freddezza, insensibilità”. Con questa manifestazione del suo Cuore, Gesù voleva conquistare dei cuori e ottenere amore e riparazione» (DS §8).
Appello pressante
Vivere la riparazione significa fare proprio l’invito di Cristo a riconoscere l’amore ricevuto e a ricambiarlo. Si tratta di impegno mirato a dare una generosa risposta d’amore richiesta a tutti e sovente disattesa. È chiamata in causa la dinamica binaria dell’amore – ricevere e donare – e la libertà e la responsabilità di ciascuno. Interviene anche il desiderio e l’impegno, in chi accoglie l’invito di Cristo, di supplire quanti non lo fanno per indifferenza o per rifiuto.
Pericolo del confronto
Dice il proverbio che il confronto è sempre odioso, perché crea disparità, sovente anche ingiustizia e divisione, fa emergere la categoria dei bravi e dei mediocri, dei giusti e dei peccatori. L’episodio evangelico del fariseo che si presenta davanti a Dio vantando i suoi meriti di osservante della legge e del peccatore che si batte il petto riconoscendo la propria indegnità, lo esemplifica bene (Lc 18,9-14). Fa capire che il confronto non va mai fatto, perché la reale situazione altrui non sempre la si conosce. Gesù infatti disapprova l’atteggiamento del fariseo.
Il pericolo è di vivere la riparazione con l’atteggiamento di chi si sente a posto (‘giusto’) davanti al Signore, si fa anche carico delle incoerenze altrui, ma nel suo cuore risuona più il tono del giudizio anziché della misericordia. Il suo riparare è intriso più di ‘osservanze’ – pratiche di pietà, azioni ascetiche – che di vicinanza caritatevole, di comprensione costruttiva, di misericordia.
Primato della grazia
Le Costituzioni dei Dehoniani, riformulate alla luce del Concilio Vaticano II, hanno recuperato la prospettiva del primato della grazia: «Così noi intendiamo la riparazione: come accoglienza dello Spirito (cf. 1Ts 4,8), come una risposta all’amore di Cristo per noi, una comunione al suo amore per il Padre e una cooperazione alla sua opera di redenzione all’interno del mondo» (Cst 23).
Emergono quattro termini che indicano il cammino spirituale per vivere la riparazione.
Accoglienza. Il primo compito a cui siamo chiamati è di fare spazio in noi all’azione dello Spirito, consapevoli che è lui il protagonista del nostro reale cambiamento interiore, di una costante adesione a Cristo e di una risposta generosa alla grazia. La sua accoglienza in noi provoca una conversione continua, impedisce l’aprire le porte al peccato come pure la stagnazione nell’abitudinarietà e nel ‘sentirsi a posto’. Nella misura in cui lo lasciamo agire in noi, entriamo nella dinamica della riparazione, perché verrà spontaneo agire in risposta generosa alla vocazione che ci è stata donata.
Risposta. Siamo stati ‘toccati e riempiti’ dall’amore di Cristo che ha dato la vita per noi (1Gv 3,16). Ora siamo chiamati a porci in risposta d’amore. Più viva è la consapevolezza dell’amore ricevuto, maggiore sarà la corrispondenza ad esso e diventerà operativo.
Comunione. Con Cristo scopriamo la fonte prima dell’amore, quella del Padre: «L’amore è da Dio … è lui che ha amato noi … Egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,7.10.19). Questa consapevolezza ci porta a sentirci uniti a lui, a sposare la sua causa in favore dell’umanità.
Cooperazione. Ci verrà spontaneo sentirci in comunione di fede e desiderosi di investire le nostre energie perché il tessuto personale, ecclesiale e sociale sia sempre in sintonia con il Vangelo. Non ci sentiremo protagonisti della riparazione, ma solo collaboratori dell’opera di redenzione di Cristo, vivendo in fedeltà dinamica l’oggi di Dio.
La risposta nella quotidianità
l testo delle Costituzioni sottolinea l’oggi in cui continua l’opera di salvezza di Cristo e agisce lo Spirito: «È qui infatti che oggi egli libera gli uomini dal peccato e ricostruisce l’umanità nell’unità. Ed è ancora qui che egli ci chiama a vivere la nostra vocazione riparatrice, come lo stimolo del nostro apostolato (cf. GS 28)» (Cst 23).
Sappiamo che la quotidianità è intrisa di momenti molto diversificati: vanno dai più sereni ai più provati, da quelli condivisi a quelli vissuti nella solitudine, da quelli personali a quelli sociali… Siamo chiamati a viverli nell’atteggiamento dell’accoglienza di una volontà che ci supera («sia fatta la tua volontà»: Mt 6,10). Soprattutto siamo chiamati a viverli in unione a Cristo il quale continua a vivere presso il Padre, intercede a nostro favore (Eb 9,24) e chiede la nostra collaborazione.
L’atteggiamento interiore è quello dell’offerta intesa come affidamento al Signore di quanto viviamo, con la consapevolezza che viene accolta e valorizzata da lui per il bene del corpo mistico. Nulla va disperso di quanto è motivato dall’amore. C’è la certezza che diventa «sacrificio di soave odore» (Ef 5,2), riconosciuto e accolto dal Signore.
Giustamente le Costituzioni lo pongono in risalto: «La vita di riparazione sarà talvolta vissuta nell’offerta delle sofferenze portate con pazienza e abbandono, anche nell’oscurità e nella solitudine, come un’eminente e misteriosa comunione con le sofferenze e la morte di Cristo per la redenzione del mondo (Col 1,24)» (Cst 24).
Una risposta allargata
Nel passato, la spiritualità riparatrice era intesa con prevalente attenzione all’aspetto interiore e orante: pregare per i peccatori, sacrificarsi per alleviare il peso e le conseguenze del peccato, mirare alla dimensione consolatoria di Cristo. P. Dehon ha allargato l’orizzonte, soprattutto da quando si è dedicato al ministero sociale. Ha constatato i mali prodotti da un disordinato sviluppo industriale e sociale nel vissuto delle persone, anche di Chiesa, e ha sentito il bisogno di arginarlo per riportare la società a una maggiore giustizia e vicinanza al Signore.
Questo intento è bene espresso nelle Costituzioni: «P. Dehon è molto sensibile al peccato che indebolisce la Chiesa, soprattutto da parte delle anime consacrate. Conosce i mali della società; ne ha studiato attentamente le cause, sul piano umano, personale e sociale. Ma egli ravvisa la causa più profonda di questa miseria umana nel rifiuto dell’amore di Cristo. Preso da questo amore misconosciuto, vuole darvi risposta con una unione intima al Cuore di Cristo, e con l’instaurazione del suo Regno nelle anime e nella società» (Cst 4).
Così sono venuti a comporsi in unità l’aspetto intimo ed esteriore: la dimensione orante e ascetica, e quella operativa unificate dall’amore oblativo.
P. Dehon chiede ai suoi religiosi di tenere il cuore aperto, sensibile al peccato, proteso ad essere in profonda sintonia con le esigenze della vocazione riparatrice; di non ritenersi protagonisti dell’amore riparatore, con un sentimento di superiorità spirituale, ma «umili servitori della riconciliazione degli uomini e del mondo in Cristo (2Cor 5,18)» (Cst 7): svolgere un vero servizio di carità verso tutti.
Nel Direttorio spirituale, così conclude: «Ancora una volta, sono prima di tutto i cuori che nostro Signore domanda, dei cuori che abbiano la ferma volontà di amarlo al di sopra di tutto e che siano pronti a sacrificare tutto per questo amore, anche ciò che è più caro; che non conoscano più desideri propri o interessi personali, ma abbiano come unico fine: amare, consolare, riparare il Cuore del loro Dio, del loro maestro, del loro sposo; guadagnargli tutti i cuori e infiammarli del suo amore» (DS 24).