Un tempo, quando una ragazza ebrea si sposava, prima del matrimonio, la madre le dava un piccolo pezzo di pasta lievitata.
Quel dono semplice era tra i più cari che la sposa riceveva, perché rappresentava l’amore e la beatitudine della casa in cui era cresciuta, che sarebbero stati portati nella casa in cui sarebbe andata ad abitare.
Durante la sua vita coniugale, la sposa ricavava da quel piccolo dono di lievito il pane per tutta la sua famiglia.
Qualche sera fa avevo voglia di mangiare la pizza con la mia famiglia.
Le normali pizze da asporto non mi piacciono, perché troppo basse e sottili. Io adoro la pizza alta, quella ben lievitata. Ho quindi chiesto a mio marito di comprare del lievito per prepararla io stessa, ma al negozio i classici panetti da 25 grammi non erano disponibili e Giorgio è rientrato con un pacchetto da 500 grammi: pare che, per via della Quarantena, tutti si siano messi a panificare in casa e nei supermercati si venda il lievito di birra solo in grandi quantità.
Ora, per preparare una teglia di pizza sono sufficienti 500 gr di farina e 7-10gr di lievito. Cosa avrei fatto di tutto il lievito che sarebbe rimasto sul tavolo?
Dopo aver preparato l’impasto per la serata, non volendo rischiare che andasse a male in frigorifero e finisse sprecato, mi sono messa a confezionare dei piccoli pacchettini da pochi grammi ciascuno, da surgelare e scongelare in futuro. Mentre mi dedicavo a questa operazione, riflettevo sul lievito.
Subito mi è venuto in mente il versetto del Vangelo “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata”.
Ma poi mi son detta:
E se per una volta non si paragonasse il lievito al regno dei cieli, ma a noi stessi o ancora meglio al nostro essere famiglia nel mondo?
Ricordo che, quando ero piccola, mia madre descriveva spesso le numerose proprietà del lievito di birra, ricco di proteine, sali minerali e vitamine (e per questo considerato in assoluto il migliore integratore alimentare naturale) e i grandi benefici che esso ha sull’apparato cardiovascolare e sul sistema immunitario, oltre che la sua azione depurativa e il suo contributo nella ricrescita di unghie e capelli.
Se ci considerassimo lievito, potremmo essere di aiuto a chi abbiamo accanto, potremmo considerare casa, non le sole nostre quattro mura, ma il mondo, e sentirci chiamati a fare del bene attorno a noi.
Si tratta di avere il coraggio di mescolarci, così come fa il lievito con la farina.
Da solo il lievito non è buono e la farina da sola rimane dura. Ma se il lievito si diffonde tra la farina, ha la capacità di farla gonfiare.
Allo stesso modo, se ogni famiglia smettesse di guardare solo a se stessa, concentrata unicamente sui propri problemi e sulle proprie necessità, ma si considerasse lievito nella pasta del mondo e si aprisse alle altre famiglie, nel confronto si scoprirebbe meno sola e nella condivisione più ricca.
Gli antichi non sapevano che il lievito fosse un fungo, ma erano consapevoli che qualcosa in esso era vivo, riproduceva e moltiplicava.
Il lievito non cresce, esso permea e, nonostante la piccola quantità utilizzata, il suo effetto è inevitabile: mescolato alla farina, la fa fermentare tutta.
E tuttavia l’influenza del lievito in una pagnotta non si può percepire subito. Occorre avere pazienza.
Bisogna accendere la luce nel forno o mettere l’impasto al caldo e attendere che aumenti di volume, per poi essere cotto e diventare commestibile. Come a dire che l’importante è concentrare l’attenzione non tanto sul risultato finale, ma sul processo di lievitazione.
Sentirci lievito ci mette in movimento, ci regala il profumo e la bontà di un cammino vero e bello, che ci mette in discussione come singoli e come famiglia, che non ci fa sentire arrivati, ma ci fa riscoprire chi siamo veramente e a cosa siamo chiamati.
Il lievito opera con discrezione. Una volta mescolato nella farina, non è più visibile, si nasconde nella pasta e silenziosamente la fa lievitare. Il lievito ci insegna l’umiltà.
Quand’anche riuscissimo a fare qualcosa di bello e utile per gli altri, a lasciare un segno buono nella realtà in cui viviamo, non saremmo vero lievito se restassimo a gongolare su chi siamo e cosa abbiamo fatto: nel momento in cui il lievito si perde nella pasta lievitata non è più lui, ma deve tornare ad essere lievito, se vuole avere ancora senso, se vuole continuare a servire.
Si tratta di piccole cose, che però potranno rendere il nostro pane fragrante e profumato, un pane tutto da gustare, che sappia di buono, di caldo e di vivo, un pane che sappia di relazione e di incontro
Si tratta ad esempio di non barricarci dentro casa subito dopo aver disinserito l’allarme al rientro dal lavoro e di cominciare a salutare i nostri vicini quando li vediamo, intrattenendoci un poco con loro, per conoscerli meglio senza pregiudizi; si tratta di avere un po’ più fiducia e di mettere da parte paura e diffidenza, quando al campanello suona qualcuno di colore o che non conosciamo, si tratta di aprirgli la porta anche solo per scambiare due parole e donare un pacco di pasta insieme ad un sorriso; si tratta di prendersi del tempo per ascoltare le storie degli altri, prenderle a cuore e farsi presenti con una telefonata o una visita; si tratta di condividere le proprie esperienze, nella consapevolezza che potrebbero tornare utili ad altri e al contempo arricchirsi, facendo tesoro delle esperienze degli altri; si tratta di far sì che le nostre case diventino veri luoghi di incontro e condivisione; si tratta forse semplicemente di esserci, di prendersi cura l’uno dell’altro, in casa e fuori casa.
E se penso al lievito che ora è in freezer, non posso che fare un’ultima riflessione: il lievito è sicuramente più efficace se utilizzato quando è fresco!
Se vogliamo essere lievito nella pasta del mondo, non aspettiamo, non rimandiamo!
C’è sempre qualcuno che ha bisogno di noi, del nostro essere lievito di vita, speranza e amore. Qui e ora.