Fedele a chi?

da | 7 Maggio 2020 | Dentro il Vangelo, Oggi nella Chiesa

Fedele a chi?

Il “fedele”, di qualsiasi religione esso sia, non è più quello di una volta.
Nel tempo, grazie anche a quella scienza/conoscenza che non fa mai male all’intelligenza (purtroppo c’è chi la teme, ma è solo pigrizia mentale), ha acquisito maggiore capacità critica/valutativa rispetto ad un tempo (un po’ come si dice delle istituzioni religiose che dovrebbero essere cresciute nel “discernimento”, cosa necessaria per trovare proprie modalità di esserci oggi, a partire dalla ricchezza offerta a ciascuna di loro dalla rivelazione di Dio).
Se una volta il “fedele” poteva essere anche un “pecorone” del gregge, e non sentiva dentro nessuna difficoltà apparente (perché giustificata/coperta/imposta dalla propria istituzione religiosa) a stare in questa posizione, non si faceva molte domande del perché e per chi … al momento attuale è cresciuto (non è un bambino, anche se ancora qualche “chiesa” cerca di mantenerlo/istruirlo in questo stato) e ha assunto facilmente la ricerca, il cammino, la domanda, come cammino di fede, rispetto alla “stabilità”, alle risposte preconfezionate (che van bene per tutti e nessuno contemporaneamente).
Fa sorpresa perciò come queste “pecore”, ormai cresciute capaci di libertà e responsabilità anche dentro il gregge (non più “pecoroni” quindi), continuino a prendersela con l’istituzione per ciò che riguarda la propria fedeltà a Dio.
In un articolo recente di Settimana News, “Chiese e virus: bilancio intermedio”, Lorenzo Prezzi presenta “alcune condensazioni problematiche: i poteri e i simboli davanti alla pandemia, le reazioni ecclesiali prima e dopo le direttive coi governi, l’entrata del virtuale nelle prassi ecclesiali, l’eclisse o il risveglio della fede, tracce ecumeniche e interreligiose”.
Le istituzioni religiose, i rappresentanti di queste, hanno fatto fatica a trovare in situazione di pandemia una posizione per poter operare in sicurezza, e salute. Come offrire ai “fedeli” gli stessi “servizi” di prima, così scontatamente ovvi?
L’articolo racconta della varia ricerca, delle varie organizzazioni religiose, per stare dentro la storia, per esserci adesso, nel continuo riconsiderare, in sostanza, sia il contenuto sia la forma della propria fede.
Ma … il “fedele”? C’è chi si è fortemente alterato con insulti alla propria “chiesa” istituzione per la non continuità del servizio offerto, per la mancanza di assistenza, per la distanza … in ultima analisi di Dio. C’è chi si è interrogato sul come, e a partire da chi, proseguire il proprio cammino di fiducia in un Dio che non era più così “sicuro” come pareva precedentemente. C’è chi nel silenzio e nel dolore è riuscito ad esprime parole di fede che prima non avrebbe avuto capacità di dire. C’è chi, in consapevole fragilità di essere di fronte a Dio da sempre, ha riconfermato non in se stesso il fondamento del proprio esistere. C’è chi …
Il “fedele”, non per tutti è stato così, non si è accontentato di vivere la propria relazione con Dio a partire solo da quanto ricevuto ma ha finalmente elaborato il suo stato di credente in maniera più coinvolgente e libera e responsabile.
Dio prende l’iniziativa, giusto per ricordare i fondamentali della questione, ma poi c’è una risposta da dare con la quale noi Lo accogliamo come verità e fondamento della nostra vita.
E ancora, l’atto di fede è certamente un atto individuale, che avviene nell’io più profondo, ma la fede è veramente personale solo se è comunitaria, se si muove nel “noi” di una “chiesa”. Ovvio che fa piacere a tutti, i “fedeli”, ritrovarsi in comunione con persone che “credono” in un cammino di fiducia reciproca e di condivisione della gioia di aver trovato il “Pastore” unico, che cambia davvero al vita. Ma i percorsi di ognuno sono singolari/personali/unici, come lo sono quello dei santi, dei martiri, che se hanno vissuto come hanno vissuto, spesso non è certo stato per il sostengo dato dall’istituzione religiosa ai solo loro bisogni. Non avevano necessità di semplici consolazioni, cercavano la totalità della beatitudine.
C’è ancora tanto da fare (e il virus lo ha messo in evidenza), per ogni “religione” perché cresca, non di numero, nel formare alla “fede”.
Il “fedele” però non dia colpa, oggi meno che mai, alla sua “istituzione” religiosa se non è ancora, lui, capace di fede che si incarna nel quotidiano delle sue fatiche e gioie perché tocca a lui lasciarsi incontrare da Dio, purtroppo (c’è del timore in ciascuno a vivere questo) e per fortuna (ma che gioia e libertà sono date) insieme.

Argomenti: Chiesa | Dio | Fede | Gesù | Spirito
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