Viviamo un tempo di “fedeltà debole” in cui anche i valori portanti della vita non sono ritenuti intoccabili.
Il “per sempre” della fedeltà è stato intaccato.
Eppure il Vangelo lo propone sempre come ideale alto.
La fedeltà coinvolge le scelte importanti e quelle ordinarie della vita. Oggi è una virtù in crisi. Diventa sempre più difficile accettare il “per sempre” e anche lo stare nel ripetitivo quotidiano. Per timore di non farcela, ma soprattutto in nome della libera determinazione, non si investe più su mete di lunga durata, siano esse “di valore” o meno. Abbiamo tutti sotto gli occhi la fragilità del matrimonio, anche con presenza di figli, della vita consacrata e dei patti stabiliti. Lascia perplessi il vedere capovolto un valore ritenuto fondamentale, in favore dell’alternanza e dell’incostanza.
Fedele a se stesso
Padre Dehon amava essere fedele. Anche il carattere e la formazione ricevuta lo favorivano. Era preciso, attento. Nel suo diario emerge lo stile dell’uomo programmato, sensibile alla parola data, incapace di contraddirsi e di venire meno agli impegni. Scrupoloso? Non proprio, solo coerente con se stesso e con gli altri.
Lo colpiva molto l’infedeltà altrui. La coglieva come una mancanza di rispetto e di amore. Tra i valori dell’Istituto da lui fondato, ha posto la riparazione, come impegno a rimediare al peccato visto come non fedeltà e non corrispondenza all’amore di Dio.
Fedele a Dio
Era Dio il suo vero punto di riferimento. Ne ha sempre colto l’amore fedele manifestato in Cristo. Fa sue le parole di s. Paolo: “Questa vita nella carne io la vivo nella fede (fedeltà) del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Ef 2,20). Il riferimento all’esemplarità di Cristo è stata la forza che lo ha sostenuto nei tanti momenti di prova. La sua fedeltà al progetto del Padre l’ha guidato e sorretto. Egli aveva motivi per scoraggiarsi, ma ha sempre trovato la forza di non venire meno. Ha scelto di fare anche il quarto voto di vittima: è un modo molto concreto di riconfermarsi fedele fino in fondo.
In risposta alla Chiesa
Padre Dehon ha sempre amato la Chiesa del suo tempo. Non sempre ha avuto vita facile dai suoi pastori e dagli stessi confratelli dell’Istituto da lui fondato. Ha servito la Chiesa con dedizione e amore fedele. L’amicizia con i Papi del suo tempo è diventato impegno al loro servizio e obbedienza. Ha accolto l’invito di Leone XIII di predicare le sue encicliche sociali e quello di Pio X ad accentuare maggiormente la dimensione interiore; il tutto nella linea del figlio devoto e fedele. Non mirava a vantaggi personali, ma unicamente a rispondere a quella che riteneva la volontà del Signore. Si è avventurato nella fondazione di un Istituto, che gli ha procurato molti problemi e amarezze, ma anche confermato nell’intima convinzione di stare nella volontà di Dio. Tutto ha visto in funzione del bene della Chiesa universale.
Presente all’uomo
Era un appassionato dell’uomo. Fin da giovane prete si è immerso nei problemi del suo contesto parrocchiale e diocesano. Ha investito energie e soldi. È stato inventivo, si è lasciato coinvolgere e ha coinvolto. Una linea, questa, che l’ha accompagnato per tutta la vita. Una fedeltà dinamica la sua. Ai religiosi dell’Istituto da lui fondato diceva di tenere in una mano il breviario e nell’altra il giornale. Dovevano essere uomini di preghiera e di azione, che sapevano stare con Dio e con il loro tempo: una doppia fedeltà.
Nel Direttorio spirituale, a proposito della fedeltà, scrive: «Gesù gusta la fedeltà delle piccole cose, l’attenzione ad offrirgli tutto, a fare tutto secondo la sua volontà e per suo amore». Fedeltà, quindi, non come pedissequa esecuzione, ma quale risposta amorosa e continuativa dentro il vissuto.