Da sempre è presente nel profondo del cuore l’anelito ad essere uniti e solidali,
ma da sempre sono vive anche le spinte alla divisione e all’individualismo.
Siamo chiamati a costruire ponti, non muri.
Ciascuno di noi coltiva il sogno di vivere in positiva relazione con se stesso e con gli altri. Nel contempo esperimenta la triste realtà dell’inquietudine, spesso della frattura, interiore e esterna. Ciò che avviene a livello personale, accade anche in quello sociale e religioso. Siamo destinati a convivere con questa commistione di positivo e di negativo, di attrazione e di repulsione, pur sempre nell’intento di far prevalere ciò che favorisce l’armonia.
Le prime pagine della Bibbia fanno capire che siamo di fronte a un problema che sta alle origini dell’umanità. All’armonia posta da Dio nella creazione è subito subentrata la disarmonia: in Adamo ed Eva (Gn 3,8-12), in Caino e Abele (Gn 4,1-16), nella storia del diluvio universale (Gn 6), nella torre di Babele (Gn 11,1-9); un dinamismo che non si è più fermato e dentro il quale ci troviamo tutti. Il gioco di buttare sassi nello stagno, tanto caro nell’infanzia, e vedere i movimenti concentrici che si allargano fino alla riva, è carico di significato: ogni azione non si esaurisce in se stessa, ma provoca un influsso in espansione. Può essere positivo, se contenuto, ma diventa negativo, in crescendo, quanto più dirompente.
Siamo connessi in noi e tra di noi. Le onde ci attraversano e ci possono coccolare o fare del male. La storia personale e degli uomini è tessuta di queste dinamiche. Possiamo farci un gran bene come un gran male.
La consegna di Gesù
Il vero lavoro da fare, per vivere in armonia, è sul cuore. Solo il cuore convertito diventa buono e irradia comunione; diversamente emana sentimenti negativi e alimenta la disunione. Accanto alla positiva disposizione personale, è fondamentale fare spazio all’azione interiore dello Spirito Santo. È lui che cambia l’intimo dell’animo e lo porta a una vita rinnovata. Già il profeta Ezechiele lo aveva annunciato in nome di Dio: «Vi darò un cuore nuovo, metterò su di voi uno spirito nuovo, toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,26). Gesù ha dato la vita e ha donato lo Spirito suo e del Padre per insegnare a vivere in unità all’insegna della carità. Più volte ha detto di morire a se stessi per rinascere nuovi, ha insegnato a vivere la parabola del chicco di grano che marcisce per diventare spiga che assicura nutrimento, ha parlato di spirito di servizio non di dominio. Queste sono le condizioni per avviare relazioni positive che durino nel tempo. Prima di affrontare la passione ha dato il suo testamento spirituale, nel quale esprime il suo sogno di unità (Gv 17). Lo ha espresso in una lunga preghiera rivolta la Padre, così riassunta: «Ti chiedo che siano una cosa sola» (Gv 17,20-23). Lo ha chiesto per i suoi discepoli, per quanti crederanno in lui, per il mondo intero. Solo un tessuto di relazioni positive assicura un futuro sereno, veramente umano. Diversamente gli uomini vivranno la legge della giungla: i più forti sottometteranno i deboli e imporranno la loro volontà.
Una passione fatta propria
Padre Dehon ha posto l’anelito di Gesù all’unità (il «Sint unum») tra i pilatri della sua spiritualità.
L’ha sperimentato in se stesso, nelle scelte di vita, nel comporre le esigenze degli impegni apostolici, nel dare avvio e continuità alla fondazione del nuovo suo istituto. Si è trovato a vivere con sacerdoti provenienti dal clero diocesano, non abituati alla vita di comunità, desiderosi di essere protagonisti nel dare una fisionomia alla nuova Congregazione, non facili ad accogliere le indicazioni del fondatore in quanto condizionati dalle loro abitudini, caratteri e personalità.
L’azione unificante, in vista di una missione condivisa, è stata colta come una urgenza. La vita di comunità vissuta nella carità, diventa la prima testimonianza presso il popolo di Dio. P. Dehon ha saputo gestire la responsabilità di fondatore all’interno di spinte eterogenee, ponendo in risalto il carisma e le esigenze che imponeva. Ha vissuto momenti e tempi tempestosi, ma sempre sorretto dalla fede e dalla composizione in unità di tutti gli ostacoli. L’anelito del «sint unum» di Cristo è diventato suo. Dentro l’apostolato nel sociale, a cui si è aperto più in risposta a una chiamata che non per un naturale trasporto, ha sperimentato come la complessità del momento storico, caratterizzato dallo sviluppo industriale, rendeva molto problematica l’intesa tra le esigenze di giustizia e quelle della produzione. Solo accordando questi due aspetti si poteva avanzare nel cammino della non conflittualità. Solo la formazione a vasto raggio poteva aprire le menti alle nuove esigenze e i cuori a una diversa disposizione. Veniva emergendo la necessità di incrementare il confronto, il dialogo, la contrattazione, una diversa legislazione che regolasse esigenze contrastanti. Anche nel mondo cattolico non era facile trovare intese unitarie. Come sempre, con le migliori intenzioni di servire la causa del bene comune, le posizioni si distanziavano, a volte si opponevano. Eppure bisognava non perdere di vista l’invito di Cristo all’unità. In questo, p. Dehon, favorito anche dal suo carattere, dalla sua apertura mentale e dalla sua passione evangelica, sapeva presentare le nuove problematiche e suggerire soluzioni idonee. Era considerato un moderato, sempre sostenuto da una visuale positiva, consapevole che a tutti era richiesto di fare un passo verso una maggiore coesione, superando le spinte che portano alle divisioni. Nei suoi scritti fa molteplici riferimenti al valore della relazionalità positiva costruita sul dialogo, confronto, formazione al nuovo che avanza. Pone tutto nel contenitore della “carità”, motore portante che frena le spinte alla contrapposizione, alle spaccature, alla logica della forza.
Scrive nel Direttorio spirituale: «Questa virtù (la carità) deve esserci particolarmente cara. Si manifesterà nel prevenirci in tutto, nell’armonia e pace dei nostri rapporti, nell’aiuto reciproco, nel risolvere prontamente le divergenze che potessero sorgere. Dobbiamo formare con l’aiuto di nostro Signore un sol cuore e un’anima sola nel Cuore di Gesù… La grande lezione di carità scaturita dal Cuore di Gesù, il discorso dopo la cena, riportato da san Giovanni, dovrà essere riletto qualche volta da tutti, per alimentare nei cuori il fuoco della carità». Gli fanno eco le Costituzioni dehoniane, nella loro ultima formulazione: «Ci lasciamo penetrare dall’amore di Cristo e ascoltiamo la sua preghiera “Sint Unum”: ci impegniamo a fare delle nostre comunità degli autentici focolari di vita evangelica, particolarmente con l’accoglienza, la condivisione e l’ospitalità» (Cst 63). Il valore dell’unità si realizza concretamente nella Congregazione vivendo la comunione tra le persone, nella collaborazione ai progetti e nella condivisione dei beni. Questo spirito di coesione e di condivisione va coltivato fin dai primi passi della formazione personale e comunitaria, che apra agli orizzonti dell’amore vero, alla liberazione progressiva dall’egoismo, alla ricerca del bene comune (Cst 95).