Imparate da me che sono mite

da | 22 Giugno 2022 | Spiritualità dehoniana

La mitezza non esprime debolezza, bensì fortezza interiore che permette di affrontare le situazioni senza lasciarsi travolgere, con la consapevolezza che possono essere gestite senza eccessi emotivi dirompenti.

Una preghiera

C’è un vero e proprio gioiello nel Vangelo secondo Matteo: è una preghiera di Gesù. Rivela il suo mondo profondo, il suo rapporto con il Padre

 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,25-30).

Gesù si rivolge a Dio con due sentimenti intimamente uniti. Emergono dai termini che adopera:

  • Padre, in ebraico Abbà. È il vocabolo filiale, quello della intimità e confidenza più profonda. Egli, in forza dello Spirito, conosce Dio e sua gioia diventa il rivelarne il volto.
  • Signore del cielo e della terra. È la sottolineatura della maestà, della trascendenza. Il suo Padre è vicino, ma grande, smisurato. Da lui nasce la totalità (cielo e terra).

Al tempo di Gesù ci sono dei maestri che complicano il rapporto con Dio. Si ritengono «colti» e «competenti». Disprezzano il popolo della terra, i contadini, gli analfabeti. All’arrivo di Gesù ed in presenza della sua predicazione, questi sapienti e colti si chiudono nel loro «sapere». Sono contenti delle loro diatribe, delle dottrine sottili. Come maestri impongono alla gente dei gioghi insopportabili.
Invece i semplici spalancano orecchie e cuore. A loro viene rivelato il Regno.
Gesù diventa il centro della comunità dei «piccoli», dei disponibili.
Gesù è umile cioè docile alla volontà del Padre. Lo è con un atteggiamento interiore, libero. Lo è nel cuore e con il cuore. Gesù è mite. Sa attendere l’ora di Dio; non impone nulla al Padre. Procede in modo lineare, coraggioso, tollerante. Egli è estremamente coerente, ma non elimina coloro che gli oppongono un rifiuto categorico.

Il mite chi è?

Ci sono tanti modi di intendere la mitezza. È abbinata, in modo scorretto, con:

  • l’insensibilità. Chi la vive non reagisce mai perché non ha né carattere, né convinzioni;
  • l’abdicazione della volontà, la subordinazione e la passività;
  • la chiusura ermetica in un proprio mondo interiore.

Stando al Vangelo la mitezza…

  • nasce da un rapporto profondo sia di tipo verticale (con Dio, sentito come origine e meta) sia di tipo orizzontale (con gli uomini);
  • fa i conti con i tempi lunghi, con l’allontanarsi dei risultati,
  • si nutre di speranza, si fida e si affida al Papà di Gesù;
  • è imitazione di Dio. Egli, che è padrone della forza, giudica con mitezza (Sap 12,18);
  • è abbinata alla libertà. Non è semplicemente un «carattere felice». È una scelta volontaria. Attraverso la ripetizione di atti diventa virtù.

Ai miti è data in eredità la terra (Mt 5,5b)

La promessa che Gesù fa ai miti è da intendersi in senso puramente escatologico? Come mai a loro si prospetta non il cielo ma la terra? È la storia stessa della Chiesa a darci una risposta.

Ogni volta che, su questa terra, è apparso un personaggio grande, significativo ma violento ha fatto il vuoto attorno a sé. Forse in vita è stato temuto; alla sua morte ci si è affrettati a far sparire ogni segno del suo passaggio. Qual è il profumo che il mite diffonde qua e ora? Anzitutto egli demitizza il violento. Egli, di fatto, si presenta come Davide di fronte a Golia. Fa capire a credenti e non credenti che (e qui adoperiamo tutti i termini militari presenti in 1 Sam 17) l’elmo, l’armatura, servono a manifestare la debolezza interiore.

Il mite presenta la vera forza: il nome del Signore (1 Sam 17,45). Non ha bisogno di tanti mezzi, di molti servitori, di tante risorse. Il violento è un debole che, per velare la sua fragilità, ha bisogno di alzare la voce, di schiacciare le persone, di strumentalizzarle. Quando lui cade, la gente è contenta perché può tornare a respirare. Il mite non incute paura; è amico di tutti; non ha pregiudizialmente «nemici». Già, qua e ora, crea attorno a sé un alone di simpatia e di solidarietà. È la storia della Chiesa che ci mostra questo. Come mai Francesco d’Assisi, in piena crociata, può incontrarsi pacificamente con il sultano Al Malik? Come mai il papa Leone è in grado di affrontare Attila? Come mai il cattolico La Pira poteva, anticipando i tempi, organizzare incontri con gli Islamici? Come mai Vittorio Bachelet godeva di tanto prestigio all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura?

Mite e umile di cuore

Mite sei ed umile di cuore,
Signore Gesù.
Avverti la presenza di un Dio
grande, ma familiare,
dolce e forte.

Ti fidi di lui,
anche in presenza di sconfitte.
Attendi la sua ora,
senza mai anticiparla.

Procedi con coraggio
nella libertà filiale,
attuando il progetto
che a te è stato affidato.

Ci riunisci attorno a te,
ci doni il tuo Spirito.
Accettiamo il tuo giogo
soave e leggero,
perché tu l’hai portato per primo
e anche ora ci precedi
nella lunga via
che conduce al Padre.

Amen.

Ezio Gazzotti

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