Ispirata da una camelia

da | 16 Maggio 2020 | Approfondimenti, Dentro il Vangelo

All’arrivo della primavera i cellulari e le pagine Facebook si riempiono, tra le altre cose, di bellissime immagini di fiori, condivise quali dono per occasioni speciali, per fare gli auguri di compleanno o semplicemente per festeggiare l’arrivo della bella stagione e la vita che in essa si ridesta.
Un fiore in particolare ha attirato la mia attenzione qualche giorno fa: la camelia fotografata da Peppino nel suo giardino.
Non a torto questo fiore è anche chiamato “Pink Perfection”, perché capace di geometrie stupende, che lasciano incantati.
Persa nella simmetria dei suoi petali, dolcemente arrotondati, ho cominciato a riflettere sulla perfezione.

Ci sono molte cose che in natura definirei perfette. Le prime che mi vengono in mente: il volo dell’aquila, quando spiega le sue ali al cielo o scende in picchiata per catturare la preda; le ragnatele, intessute con tanta dedizione e pazienza dai ragni; i favi degli alveari, così perfetti nelle loro celle esagonali, quasi le api usassero compasso e righello per costruirli!
E ripenso alla foto ricevuta dall’amico Bortolo: la perfezione nella semplicità di una chiocciola, il cui guscio – direbbe George Johnson – “è un edificio che in complessità, dettagli e perfezione (…) rivaleggia, e forse supera, i palazzi più magnifici mai costruiti dall’uomo!”
Ho scoperto che le chiocciole sono in grado di riparare la loro conchiglia, anche se questa dovesse venire frantumata in mille pezzi. La lumaca sa cosa si deve fare, sa ricostruire perfettamente, senza lasciare alcun segno della rottura: conosce i minerali e i tempi che occorrono per il lavoro riparatore e nel suo agire c’è un innato e profondo senso di bellezza.

Forse è proprio la bellezza del germogliare alla vita, dei paesaggi, delle albe e dei tramonti, delle stellate notturne che definisce la perfezione di ciò che ci circonda in natura.
E ciononostante, se ci prendiamo il tempo di fermarci a contemplare, ci accorgiamo che “Tutto è imperfetto, non c’è tramonto così bello, da non poterlo essere di più”.
E che dire di noi?
Viviamo in un sistema sociale, scolastico e famigliare che ci vuole sempre forti e vincenti e ci costringe a tenere un ritmo di vita pazzesco, per riuscire a passare da un successo all’altro: sempre più di frequente le persone rincorrono la perfezione come se stessero rincorrendo la felicità, senza però chiedersi se mirare ad essere sempre il “top” è il modo giusto per raggiungerla.
Sul lavoro si cerca di essere i più veloci, i più performanti, quelli che hanno sempre l’idea migliore, per non rischiare di essere considerati l’ultima ruota del carro.
Nelle relazioni l’obiettivo è sempre quello di piacere. E allora via alla corsa per uniformarsi allo stereotipo della perfezione definita dalla società e dalla moda: guai a non avere degli addominali scolpiti, guai ad avere cicatrici e smagliature, imperfezioni da nascondere, guai ad uscire di casa senza “trucco e parrucco”, vestiti all’ultima moda e soprattutto guai a mostrarsi impauriti, fragili, insicuri.
Ma per fortuna c’è ancora chi ha il coraggio di affermare che “La perfezione non esiste!”.

Dovremmo smettere di voler indossare la maschera della perfezione e smettere di pretenderla da noi stessi e dagli altri.

Non c’è il corpo perfetto, il lavoro perfetto, la casa perfetta, la vita perfetta.
Non c’è il marito o la moglie perfetta, il figlio perfetto, il fratello o la sorella perfetta, la famiglia perfetta.
Non esistono il prete perfetto, il collega perfetto, l’amico perfetto.

“Non esistono persone perfette le une per le altre. Esistono persone che nonostante tutto si vogliono incontrare ogni giorno, forse per il resto della vita”. Esistono semplicemente uomini e donne, così come sono, nel bene e nel male.

Ma allora mi chiedo: che significato ha la frase del Vangelo “Siate perfetti come è perfetto il padre vostro che è nei cieli?”

“La vera perfezione dell’uomo non sta in ciò che l’uomo ha, ma in ciò che l’uomo è”, diceva Oscar Wilde.

Forse si tratta di ritrovare in primis noi stessi, la nostra essenza, chi siamo e a cosa siamo chiamati.

Si tratta di saper accogliere sia il bene che il male che è in noi, di non negare i nostri limiti, le nostre paure, le nostre fragilità e insicurezze, oltre a promuovere ciò che di bello è in noi.
Si tratta di riscoprirci belli così come siamo e mettere a disposizione la nostra bellezza.
Allora saremo capaci anche di andare oltre le maschere e di vedere, oltre ai difetti degli altri, che sono i nostri, anche il buono e il positivo che c’è in ogni persona, così come fa il Padre con noi.

Si tratta di vedere con gli occhi del cuore, perché “l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Si tratta di godere del bello che siamo e facciamo e viverlo, viverci gli uni gli altri.
Si tratta di vedere nell’altro la stessa bellezza che troviamo nell’acqua, nella terra e nel cielo; si tratta di lasciarci innamorare dall’altro, perché come scrive Sam Keen “Noi ci innamoriamo non quando troviamo una persona perfetta, ma quando arriviamo a considerare perfetta una persona imperfetta”.

Nessuna perla è uguale all’altra. Nessuna perla è mai perfettamente simmetrica. E nelle cose di questo mondo meglio tenersi lontani dalla perfezione: la luna quando è piena comincia a calare, la frutta quando è matura cade, il cuore quando è felice già teme di perdere quella gioia, l’amore quando raggiunge l’estasi è già passato. Solo le mancanze assicurano la bellezza, solo l’imperfezione aspira all’eternità.
Alessandro D’Avenia – Cose che nessuno sa

Argomenti: Bellezza | Vita
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