“L’arte da imparare in questa vita
non è quella di essere invincibili e perfetti,
ma quella di sapere essere come si è,
invincibilmente fragili e imperfetti”
Alessandro d’Avenia
E che siamo tutti fragili, dal primo all’ultimo su questa Terra, il Corona virus ce l’ha ricordato bene…
La fragilità dunque è cosa umana e se è cosa umana, vuol dire che riguarda noi tutti.
Quando ci sentiamo tutti coinvolti in qualcosa, ci sentiamo meno soli. E se non ci sentiamo soli, ma ci riscopriamo fratelli nella fragilità, allora possono nascere sentimenti di compassione, solidarietà e amore.
Ma la nostra umanità può anche essere disumana: lo vediamo nei rapporti familiari, tra generazioni, nelle relazioni amicali come in quelle sociali, politiche, internazionali.
E così la nostra fragilità spesso, anziché portarci alla compassione e alla solidarietà, ci conduce all’indifferenza o a svalutare il prossimo, invece che incontrarlo, alla paura, al disprezzo, all’avversione, al rigetto, alla violenza verbale e fisica. Basti pensare a tutte le volte che ci mostriamo contrari al povero, allo straniero, al mendicante, al migrante o, in questo tempo di Covid, a tutte quelle volte che ci barrichiamo dentro noi stessi per paura dell’altro e il distanziamento, che dovrebbe essere solo fisico, diventa incapacità di incontro vero e profondo con l’altro.
Quando invece la fragilità diventa un invito alla prossimità, un appello a sentirci responsabili degli altri, a prendercene cura, l’altro è uno simile a me. Allora avviene l’incontro e l’incontro diventa scambio e dono reciproco.
Questo e molto altro abbiamo approfondito grazie agli interventi di Padre Giovanni Nicoli nei tre incontri sulla fragilità intitolati:
- “Onnipresenza della fragilità umana”
- “Un’etica della fragilità: la resilienza”
- “Fragilità della vita interiore: crisi e limite”
Qui di seguito la testimonianza di Alda De Angeli, una dei partecipanti.
“Incontrare persone diverse, ognuno con la propria esperienza di vita, incontrarle via WEB in questo periodo della vita, difficile per ciascuno di noi. Persone, quasi tutte sconosciute, ma con le quali dopo due incontri (ahimè il primo l’ho perso) scopri di avere molto in comune, un filo rosso che unisce.
E allora, in questo periodo di non incontri, non ti senti più solo o diverso, con un dolore solo tuo, con un interrogarsi solo tuo, con domande e dubbi che pensi di avere solo tu.
La fragilità diventa così un po’ come la famosa “A Livella” di Totò: ci rende tutti uguali.
La condivisione della fragilità diventa uguaglianza, diventa unione, è non sentirsi “diversi” come se solo tu fossi “colpito” da questo stato di vivere.
Scoprire attraverso la guida di Padre Gianni (PG) che ci può essere una strada da seguire per poter accettare i nostri limiti, senza obbligo di doverli superare; scoprire come Gesù, tutore della resilienza favorisce, con la propria umanità, l’autostima di chi in alcuni momenti della propria vita si sente sconfitto dalle prove (e siamo in tanti!).
Scoprire il bello delle e nelle nostre fragilità e trarne forza per creare nuove opportunità di vita.
Non avrei mai pensato di associare a questa parola l’aggettivo bello ma, elaborando questi incontri, mi sono ritrovata a realizzare che è nelle mie debolezze interiori che ho trovato la forza: il silenzio e la solitudine mi hanno permesso di “guardarmi dentro”, riscoprendo in me un mondo nuovo.
Riscoprire quel sorriso che sempre mi ha caratterizzato un po’ sepolto dalla vita, scoprire che accettare le mie fragilità non mi rende più debole, ma serena.
La vita lavorativa mi impone il raggiungimento di obiettivi per essere sempre più performante; la vita quotidiana impone di essere veloci, attivi, sempre “sul pezzo”, sempre presenti: l’adeguarsi a tutto questo diventa a volte disumanizzante.
Allora ho imparato a rallentare, a vivere il silenzio e le mie crisi come una grazia e questo mi ha permesso di parlare con me stessa e di scoprire che da tutto possiamo trarre benefici.
Quindi.. viva le fragilità, che si trasformano in forza nel momento in cui le accogliamo, le accettiamo ed impariamo ad amarle, amandoci”.
Quando la fragilità diventa un invito alla prossimità, un appello a sentirci responsabili degli altri, a prendercene cura avviene l’incontro e l’incontro diventa scambio e dono reciproco.