Lo inventeremo,
l’alfabeto delle gentilezze,
atti inutili,
teneri, molto molto gentili.
Regaleremo colori arancioni
a tutte le stanze,
regaleremo arance
a chi ha sete,
aggiungeremo un tavolino
per chi si vuol sedere
e una panchina d’ombra,
per gli arsi di sole,
e poveri come siamo
faremo tutto gratis
e poveri come siamo,
tutto con un sorriso,
e vecchi come siamo
con il riso dei bambini.
Spalancheremo le porte
porteremo il caffè,
poi il caffè lo ammazzeremo
col liquore dolce dolce
dell’ultima noce.
Ci guarderanno strani,
noi profanatori
della legge dell’universale ferocia,
della legge del grave muso incazzato,
del grugno, della maschera
della serietà
con gli occhi che non brillano più.
E poveri come siamo
faremo tutto gratis
e poveri come siamo,
tutto ridendo
Lettera dopo lettera, alfabeto,
dei gesti gentili.
Gianluigi Gherzi
Dal libro “A cosa serve la poesia-Canti per la vita quotidiana!“
Edizione Sensibili alle Foglie
Ieri ho visto su un muro la scritta “DON’T WORRY, BE KIND”. Il motto mi ha subito colpito e nelle ore successive ne sono scaturite alcune riflessioni.
Quando ero piccola, mia mamma mi diceva sempre: “Chiedi permesso quando entri in casa d’altri o quando vuoi dire qualcosa mentre qualcun altro sta parlando, chiedi scusa quando sbagli, ringrazia sempre, sii sempre gentile e quando non hai niente di gentile da dire, meglio se taci”.
Semi buoni questi, che nel tempo hanno germogliato in me, insieme all’idea che la gentilezza non sia solo questione di educazione, ma uno stile di vita, un modo d’essere dentro, che si riflette all’esterno.
La vera gentilezza, quella che non si limita al formalismo, ma che nasce dal profondo e arriva a smuovere le viscere di chi hai di fronte, parte dal riconoscere se stessi e gli altri come dono: l’altro ha valore anche se vive in modo diverso da me e la pensa in maniera differente.
E’ questa la base che ci permette di incontrare veramente chi abbiamo di fronte e di instaurare relazioni vere, non superficiali o conflittuali. Non sono pochi quelli che vivono la gentilezza solo come modalità per ottenere dagli altri ciò vogliono.
Molto conosciuto il detto: “Si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto”. Il risultato? Finiamo col pensare che le persone gentili siano false e ci chiediamo cosa nascondono, qual è il loro vero obiettivo nei nostri confronti.
E tuttavia temo non sia questo il peggio.
Concentrati su noi stessi, stiamo diventando sempre più indifferenti o peggio ostili nei confronti degli altri, una civiltà dalle cattive maniere e dalle cattive parole, mossa più dalle emozioni del momento e dall’istintività, che dal desiderio di relazione. E così la vita più che un incontro, diventa uno scontro.
Mai come in questi giorni, nei vari ambienti, sui media e in particolare sui social, sembra dominare l’aggressività: vi è sempre maggiore mancanza di rispetto; la gente, più che ascoltare e comprendere le ragioni dell’altro, preferisce l’attacco frontale; vincono gli “urlatori”, che tanto fanno, finché non riescono a zittire gli altri.
Purtroppo, al contrario di quanto si sperava, con le pandemia le cose non son migliorate, anzi si sono ulteriormente esacerbate. Basti pensare alle divisioni nate a causa della scelta di vaccinarsi o meno e agli scontri giornalieri sul green pass, non solo in tv, ma nei luoghi di vita quotidiani.
Mio marito mi ha appena raccontato di alcuni suoi colleghi vaccinati, che pur potendo mangiare all’interno dei ristoranti, scientemente prenotano tavoli all’esterno, per evitare che i non vaccinati possano trovare posto. Sono rimasta senza parole…
Verrebbe da dire che in una società del genere, la gentilezza è cosa da super eroi.
Eppure sono convinta che per essere gentili non serve essere Superman o Mr. Incredible, basta essere umani. Anche Seneca lo pensava: “Ovunque ci sia un essere umano, vi è la possibilità per una gentilezza”.
La gentilezza già alberga in noi. Ha soltanto bisogno di essere riscoperta.
Secondo Thích Nhất Hạnh, monaco buddhista, poeta e attivista vietnamita per la pace infatti:
“La gentilezza è un seme presente in ognuno di noi, come la rabbia, la paura, l’invidia… o l’amore, la meraviglia, la gratitudine… Ogni giorno noi scegliamo quali semi annaffiare, e lo facciamo nutrendoli con la nostra attenzione e lasciandoli crescere fuori e dentro di noi”.
E una volta germogliata, la gentilezza potrebbe diventare contagiosa, perché come afferma anche Amelia Earhart “Un solo atto di gentilezza mette le radici in tutte le direzioni, e le radici nascono e fanno nuovi alberi”.
Non resta che darci da fare, quindi! Credere nella gentilezza, renderla viva e farla crescere giorno per giorno nel nostro piccolo.
La gentilezza non è mai debolezza o ingenuità.
Gentilezza è girare sempre col sorriso sulle labbra, salutare per primi, regalare una buona parola, fare una carezza, un complimento sincero.
Gentilezza è cedere il nostro posto in coda alla cassa di un supermercato, è guidare senza mandare tutti a quel paese, è avere uno sguardo attento per vedere chi è nel bisogno.
Gentilezza è ascolto, quello del cuore, che sa cogliere i movimenti profondi dell’altro. E’ esserci, per chi ti chiede aiuto, ma anche per chi non riesce a farlo.
Gentilezza è prendersi del tempo per relazionarsi con gli altri, ringraziando, chiedendo scusa, provando a mettersi nei loro panni. E’ valorizzare le diversità e al contempo saper condividere.
Gentilezza è abbandonare invidie e gelosie, lasciar scivolare via gli sgarbi.
La gentilezza è solidale, non giudica, sa invece accorciare le distanze con empatia, pazienza, rispetto.
Gentilezza è non aggredire chi non è vaccinato, cercando di convincerlo in tutti i modi che è la cosa giusta da fare, umiliandolo ed escludendolo, ma ascoltare con amore le sue paure e i suoi dubbi e semplicemente accoglierli.
Gentilezza è avere la porta del cuore (e di casa) sempre aperta, è avere un letto sempre pronto, è un piatto in più da mettere a tavola con gioia.
E in una pesca rivedo la premura di Andrea e in un abbraccio la dolcezza di Simona che, conosciuti ad un cinema sotto le stelle, mi hanno ospitata a casa loro, perché si era fatto troppo tardi per rientrare. E quella casa è stata davvero casa mia per una notte.
Semplici atti di cura che scrivono lettera per lettera l’alfabeto della gentilezza.
Papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli tutti” dedica ben tre numeri alla gentilezza ed alla necessità di recuperarla:
222. “L’individualismo consumista provoca molti soprusi (…) Tuttavia, è ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità.”
- (…) “È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri (…)”
224. “La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti (…). Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti”.