“I miei 80 anni”
Aldo Marchesini
sacerdote e medico
Cari Amici, desidero inviarvi questo saluto perché tra pochi giorni, il 10 settembre, compirò 80 anni.
Vorrei narrare qui piccoli ricordi per aiutare a capire le varie curve della mia vita, che mi hanno portato ad essere sacerdote, missionario, medico e chirurgo.
Cominciai a sentire la vocazione al sacerdozio alla fine del liceo. Quando ne parlai coi miei genitori, mio babbo mi disse che loro, lui e la mamma, avrebbero accettato volentieri, ma che ero ancora troppo giovane per fare una scelta così impegnativa. Mi chiese di frequentare un anno di università, per allargare un po’ la conoscenza della vita e valutare altre possibilità. Potevo scegliere la facoltà che preferivo. Alla fine dell’anno avrei potuto scegliere liberamente se continuare gli studi o entrare al noviziato.
Scelsi medicina e questo studio mi appassionò, ma quando terminai l’anno capii che la voce del Signore era più forte e così abbandonai la medicina per entrare nella vita religiosa. Entrai nella congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, che avevo conosciuto negli ultimi anni del liceo. A quel tempo non era possibile essere medico e sacerdote allo stesso tempo.
Verso la fine dell’anno di noviziato venne a parlare con me il Superiore Provinciale, che mi disse che era parso bene che continuassi a studiare medicina, e così era anche già stata chiesta l’autorizzazione a Roma. Dopo il noviziato, perciò, continuai a studiare medicina e mi laureai nel luglio del1966. A partire da ottobre cominciai la teologia nello Studentato delle Missioni di Bologna e fui ordinato sacerdote nel dicembre del 1969. Durante quegli anni avevo presentato la domanda per essere missionario e fui destinato al Mozambico, perché in quella missione il vescovo della nostra diocesi desiderava aprire un ospedale missionario. Negli ultimi mesi del ’69 passò da Bologna il comboniano padre e medico Giuseppe Ambrosoli, che tenne una conferenza all’università, per raccontare il suo lavoro in Uganda. L’andai a sentire e la vista delle tante diapositive del suo ospedale di Kalongo mi entusiasmò. Quando terminò, andai a parlare e a presentarmi come medico ed imminente sacerdote e missionario in Mozambico, per chiedergli un consiglio. Mi disse che, se avessi dedicato la mia attività missionaria prevalentemente, come lui, alla medicina, avrei subito scoperto che avrei dovuto avere sempre coN me un chirurgo. Mi disse, anche, che sarebbe stato molto difficile e che la cosa migliore era che imparassi io ad operare, come aveva fatto lui. “Se vuoi venire a Kalongo nel mio ospedale – soggiunse – vedrai che imparerai molte cose.”
I miei superiori ne furono ben contenti ed io passai un anno indimenticabile col padre Ambrosoli in Uganda. Al mio ritorno andai a Lisbona per studiare medicina Tropicale, perché era necessario per poter lavorare come medico nelle colonie di oltremare del Portogallo. Anche quello fu un anno bellissimo. Dopo aver finito, dato che il visto per il Mozambico tardava, andai ad aspettarlo lavorando di nuovo in Uganda, in un ospedale vicino a Kalongo che era rimasto provvisoriamente senza dottori.
Nel 1974 ci fu il colpo di Stato in Portogallo e la nuova gestione decise di dare subito l’indipendenza alle colonie. Pochi mesi dopo ricevetti il visto e arrivai, definitivamente, in Mozambico nel novembre del 1974, nel periodo di transizione da Colonia a Stato indipendente. Il Governatore della provincia della Zambesia mi disse che dopo l’indipendenza tutta la Sanità e l’Educazione sarebbero state dello Stato e non sarebbe stato possibile fondare un ospedale privato della missione. Tuttavia mi invitava a lavorare negli ospedali del governo. Il vescovo e i superiori furono favorevoli e così nel dicembre del 1974 firmai il contratto nel Servizio Nazionale di Salute.
Iniziai a lavorare a Quelimane e dopo un mese fui trasferito all’ospedale di Mocuba dove vissi l’indimenticabile notte del passaggio del Mozambico da colonia a Stato indipendente. Qui rimasi un anno e mezzo e dopo fui inviato nella provincia di Tete per lavorare nell’ospedale di Songo dove c’era la diga di Cahora Bassa. Rimasi quattro anni lì e poi chiesi il trasferimento per la provincia della Zambesia, dove vivevano tutti i miei confratelli. Mi fu concesso, e così tornai a Quelimane alla fine d’agosto del 1981, dove, pochi giorni dopo, compii quarant’anni. Da allora sono sempre rimasto a Quelimane. Adesso, in questi stessi giorni, sto per compiere gli ottanta! Dal 1982 al 1992 vissi l’esperienza di un paese in guerra civile con molti feriti, molte amputazioni di gambe distrutte da mine anti uomo, molte difficoltà di rifornimenti e di trasporti.
Dopo la fine della guerra si aprì l’occasione di frequentare come sacerdote il carcere di Quelimane. Per molti anni mi fu possibile celebrare la messa ogni domenica al gruppo dei cattolici reclusi e, dopo, passare un’ora ad attendere malati di ogni fede nell’infermeria della prigione. Fu un’esperienza che mi arricchì molto e mi fece conoscere un’umanità che non è accessibile alla maggior parte della gente.
Sempre negli anni dopo la fine della guerra, aumentò molto la richiesta di trattare le donne che perdevano urina dopo un parto complicato. La testa del feto rimane bloccata nel canale del parto e comprime i tessuti della vagina e della vescica contro le ossa del bacino, provocando la formazione di fistole da dove esce continuamente urina, giorno e notte. Questa complicazione può guarire solo con una operazione. Per divulgare l’apprendimento di questa chirurgia si moltiplicarono a livello nazionale campagne di correzione di fistole negli ospedali provinciali, per operare in una settimana tra quaranta e cinquanta pazienti, al ritmo di dieci ore al giorno, convocando una decina di chirurghi tra apprendisti e insegnanti. Questa attività fu ostacolata dall’apparire della pandemia del Covid-19, tuttavia in Mozambico ci sono già almeno una ventina di chirurghi capaci di operare una fistola vescico vaginale, sparsi nelle varie provincie.
All’inizio di quest’anno anch’io sono stato infettato dal covid in modo serio, e mi ha lasciato molto indebolito, ma sto recuperando un po’ alla volta coll’aiuto della fisioterapia.
Guardando indietro negli anni ringrazio il Signore che mi ha messo in una posizione di dover praticare, per necessità, molti campi della medicina, dalla chirurgia alla maternità, alla ortopedia, alla pediatria, alla ginecologia e così via.
Ho potuto constatare che nella vita c’è molta più soddisfazione e felicità nel poter aiutare che nell’essere aiutato, la qual cosa permette ad entrambi, aiutante ed aiutato, di volersi sinceramente bene!
Padre Aldo