Pane spezzato – l’Eucaristia

da | 18 Giugno 2021 | Spiritualità nel quotidiano

L’Eucaristia è il sacramento della presenza divina.
Si sottrae ai sensi e si svela nella fede.
Essa ci permette di cogliere nel ‘segno’ del pane Colui che è
«il pane del cielo, che sfama la vita dell’uomo,
che dona la vita divina, che è viatico alla vita eterna
»
(Gv 6,48-50)

 

«Io ti amo, silenzioso Dio, che ti nascondi dentro un po’ di pane». Così inizia il canto di Giosy Cento sul tema dell’Eucaristia. Risalta subito la tonalità affettiva dell’amore riconoscente che coglie il mistero presente nel pezzettino di pane consacrato. In esso c’è Cristo, nostro Signore, presenza silenziosa, velata, divenuta centro di attrazione adorante. Lo riconosciamo nella fede e lo amiamo in risposta d’amore: lui ci ha preceduto nell’amarci, per noi ha dato la vita, con noi è presente tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

Prosegue il canto: «Io ti adoro silenzioso Dio, che mi hai creato con immenso amore e inviti l’uomo nella casa tua alla tua mensa nell’intimità». Davanti a Lui ci prostriamo e lo adoriamo. Ci sentiamo accolti e amati quali sue creature redente. Ci sentiamo invitati alla sua mensa, anche se indegni: «beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello!». (Ap 19,9). Diventiamo suoi intimi, familiari, amici: «Non vi chiamo più servi ma amici » (Gv 15,15).

Pane di vita

Il ritornello del canto ripete: «Pane di vita sei, Cristo Gesù, per noi e per l’eternità la vita ci darai». Dopo la moltiplicazione dei pani, la folla ha cercato Gesù che si era trasferito dall’altra parte del lago. Lo cercava per avere ancora il pane ottenuto miracolosamente il giorno precedente. Gesù la rimanda ad un altro pane, al «cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà» (Gv 6,27). Li invita a scoprire il vero alimento che viene dal cielo,che non è la manna data da Mosé al popolo, ma quello che «il Padre mio vi dà dal cielo, quello vero». Questo pane è il Figlio «che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Alla richiesta di avere questo pane, Gesù rivela la sua vera identità: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6,32-35).

È la persona di Gesù che noi riconosciamo nel pane spezzato, dono del Padre per la vita dell’umanità. La fede ci porta ad aderire a lui con sincero trasporto e a riconoscerlo come  l’alimento che nutre il nostro bisogno profondo di senso, di vita nuova, di vita eterna (Mt 19,16). Gesù stesso assicura di rispondere a questo bisogno: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,58).

Alimento che sostiene

Il canto prosegue nella seconda strofa così: «Tu sazi l’uomo con la vita tua, un infinito dentro le creature, e l’uomo sente e vede il volto vero di un Dio che vive nell’umanità». Più ci si lascia avvolgere dalla fede nell’Eucaristia, più si scopre l’amore di Dio per l’umanità. Ci si sente attratti, bisognosi di averla dentro di sé, di sentirsi saziati e sostenuti nel cammino della vita. Cresce la consapevolezza di avere l’infinito dentro di noi, di sentire che Egli vive in noi.
La storia della Chiesa è ricca di riferimenti inerenti la verità della presenza di Cristo nel pane consacrato. Nel mondo sono registrati moltissimi “miracoli eucaristici”, tutti segni intesi a rafforzare la nostra fede e a confermare la verità di questo mistero. Sono pure registrati fenomeni straordinari per confermare che la sola Eucaristia può far vivere le persone.
Essa è il vero “viatico nel cammino” che sostiene in ogni momento dell’esistenza, soprattutto quello più provato. Mi piace riportare l’intervista fatta dal Card. Angelo Comastri al Card. Vietnamita Francesco Saverio Nguyen van Thuan che ha vissuto la triste esperienza dell’ingiusta prigionia, durata tredici anni, in una situazione di totale privazione: una cella bassa, buia, senza finestre.  Alla domanda: «Ma come ha fatto ad uscire da un’esperienza così terribile? Dove ha trovato la forza?», ha risposto: «Nell’Eucaristia!». Poi continuò: «Quando nel 1975 sono stato messo in prigione, una domanda angosciosa affiorò dentro di me: “Potrò ancora celebrare l’Eucaristia?”. E la stessa domanda, un po’ di tempo dopo, mi rivolsero i miei cristiani quando ebbero la possibilità di venirmi a trovare: “Ma ha potuto celebrare la Santa Messa?”. In verità i miei cristiani avevano ben provveduto, affinché io avessi l’indispensabile per la celebrazione della Messa.
Quando fui arrestato, dovetti andarmene con i poliziotti a mani vuote. Ma, all’indomani, mi fu permesso di scrivere ai miei cristiani per chiedere le cose più necessarie: vestiti, sapone, dentifricio, medicine… Scrissi: “Per favore, mandatemi un po’ di vino come medicina per il mio mal di stomaco!”. I miei cristiani capirono subito e mi inviarono una piccola bottiglia di vino per la Santa Messa, con l’etichetta: Medicina contro il mal di stomaco. E, in una fiaccola contro le zanzare e l’umidità, nascosero alcune ostie. La polizia, quando mi consegnò il pacchetto aperto, mi domandò: “Lei soffre mal di stomaco?”. Risposi: “Sì! Da tanto tempo!”. Il poliziotto, indicando la piccola bottiglia, disse: Ecco un po’ di medicina per lei”. Da qual giorno ho potuto sempre celebrare la Santa Messa, perché i miei cristiani non mi hanno fatto mai mancare ‘la medicina per il mal di stomaco’. Mettevo tre gocce di vino e una goccia d’acqua nel palmo della mano sinistra, mentre con l’altra tenevo una piccola ostia: e così celebravo ogni giorno la Santa Messa e mi sentivo in una cattedrale e il mio cuore si riempiva di gioia. I miei carcerieri erano meravigliati e io, quando potevo, raccontavo la storia di Gesù… ed essi ascoltavano e alcuni si convertivano. Dovevano cambiarli spesso perché la gioia che mi dava Gesù si trasmetteva a loro… e mi chiedevano di diventare cristiani. Oh, se capissimo che grande dono ci ha fatto Gesù con la Santa Eucaristia!».

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