Papa Francesco in Giappone, novembre 2019. Il grido …

da | 6 Dicembre 2019 | Dentro il Vangelo, Oggi nella Chiesa

Papa Francesco in Giappone, novembre 2019. Quel grido dall’abisso del silenzio.

Articolo di Arrighini Angelo sci

     Nel suo recente viaggio asiatico, sia in Thailandia che in Giappone papa Francesco, oltre ai numerosi fedeli che hanno partecipato alle celebrazioni eucaristiche, ha incontrato le massime autorità politiche e diplomatiche, i leader delle altre confessioni religiose, le conferenze episcopali, i sacerdoti, i religiosi/e, i giovani. Ma, di certo, i due discorsi che si ricorderanno più a lungo in futuro sono quelli tenuti, il 24 novembre, prima a Nagasaki (60.000 morti) nel “Parco della bomba atomica” e poi a Hiroshima davanti al “Memoria della pace”. «Questo luogo – ha detto a Nagasaki – ci rende più consapevoli del dolore e dell’orrore che come esseri umani siamo in grado di infliggerci. La croce bombardata e la statua della Madonna, recentemente scoperta nella Cattedrale di Nagasaki, ci ricordano ancora una volta l’orrore indicibile subìto nella propria carne dalle vittime e dalle loro famiglie».
     La pace e la stabilità internazionale, secondo Francesco, «sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale». Nella città di Nagasaki «testimone delle catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali di un attacco nucleare, non saranno mai abbastanza i tentativi di alzare la voce contro la corsa agli armamenti». Non si può dimenticare che «nel mondo di oggi, dove milioni di bambini e famiglie vivono in condizioni disumane, i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al cielo».
     L’aspirazione di milioni di uomini e donne in ogni luogo è quella di un “mondo in pace”. Un ideale raggiungibile solo con la buona volontà di tutti: persone, comunità religiose, società civili, Stati che possiedono armi nucleari e quelli che non le possiedono, settori militari e privati, organizzazioni internazionali. Oggi più che mai è necessario «rompere la dinamica della diffidenza che attualmente prevale e che fa correre il rischio di arrivare allo smantellamento dell’architettura internazionale di controllo degli armamenti».
     La Chiesa Cattolica, da parte sua, «è irrevocabilmente impegnata nella decisione di promuovere la pace tra i popoli e le nazioni: è un dovere per il quale si sente obbligata davanti a Dio e davanti a tutti gli uomini e le donne di questa terra». Papa Francesco è convinto che un mondo senza armi nucleari «è possibile e necessario». Proprio per questo occorre considerare l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale, rinunciando a rafforzare un clima di paura, diffidenza e ostilità, fomentato dalle dottrine nucleari.
     E’ un problema sempre più urgente e “cruciale” quello di «creare strumenti che garantiscano la fiducia e lo sviluppo reciproco e poter contare su leader che siano all’altezza delle circostanze». Di fronte ad un compito come questo che “interpella tutti”, ha concluso papa Francesco, «nessuno può essere indifferente davanti al dolore di milioni di uomini e donne che ancor oggi continua a colpire le nostre coscienze; nessuno può essere sordo al grido del fratello che chiama dalla sua ferita; nessuno può essere cieco davanti alle rovine di una cultura incapace di dialogare».

     Molto più forte è stato il discorso tenuto nel “Memoriale della Pace” ad Hiroshima (100.000 morti). «Qui – ha esordito papa Francesco – di tanti uomini e donne, dei loro sogni e speranze, in mezzo a un bagliore di folgore e fuoco, non è rimasto altro che ombra e silenzio. Appena un istante, tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte. Da quell’abisso di silenzio, ancora oggi si continua ad ascoltare il forte grido di coloro che non sono più. Provenivano da luoghi diversi, avevano nomi diversi, alcuni di loro parlavano diverse lingue. Sono rimasti tutti uniti da uno stesso destino, in un’ora tremenda che segnò per sempre non solo la storia di questo Paese, ma il volto dell’umanità».
     Papa Francesco ha sentito il dovere di «venire in questo luogo come pellegrino di pace, per rimanere in preghiera, ricordando le vittime innocenti di tanta violenza». Con molta umiltà vorrebbe essere «la voce di coloro la cui voce non viene ascoltata e che guardano con inquietudine e con angoscia le crescenti tensioni che attraversano il nostro tempo, le inaccettabili disuguaglianze e ingiustizie che minacciano la convivenza umana, la grave incapacità di aver cura della nostra casa comune, il ricorso continuo e spasmodico alle armi, come se queste potessero garantire un futuro di pace».
     L’uso dell’energia atomica per fini di guerra, oggi più che mai, è «un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune». L’uso dell’energia atomica per fini di guerra, infatti, «è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra. Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? Come possiamo parlare di pace mentre giustifichiamo determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio?».
     Papa Francesco è sempre più convinto che la pace è solo un “suono di parole” «se non si fonda sulla verità, se non si costruisce secondo la giustizia, se non è vivificata e completata dalla carità e se non si realizza nella libertà».
Se si vuole realmente costruire una società più giusta e sicura, «dobbiamo lasciare che le armi cadano dalle nostre mani». Quando ci si allontana dall’esercizio del dialogo è troppo facile dimenticarsi che «tragicamente, le armi, ancor prima di causare vittime e distruzione, hanno la capacità di generare cattivi sogni… , esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli».
     Per papa Francesco ci sono tre imperativi morali che, proprio a Hiroshima, acquistano un significato ancora più forte e universale e hanno la capacità di aprire un cammino di pace: ricordare, camminare insieme, proteggere. «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno. Ma proprio per questo «siamo chiamati a camminare uniti, con uno sguardo di comprensione e di perdono, aprendo l’orizzonte alla speranza e portando un raggio di luce in mezzo alle numerose nubi che oggi oscurano il cielo». Sarà possibile aprirsi alla speranza, diventare strumenti di riconciliazione e di pace solo «se saremo capaci di proteggerci e riconoscerci come fratelli in un destino comune».
     «A nome di tutte le vittime dei bombardamenti, degli esperimenti atomici e di tutti i conflitti – ha concluso papa Francesco – dal cuore eleviamo insieme un grido: Mai più la guerra, ma più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza! Venga la pace nei nostri giorni, in questo nostro mondo». Solo quando dove è abbondata la distruzione sovrabbonderà la speranza, sarà realmente possibile «scrivere e realizzare una storia diversa».

Papa Francesco a Hiroshima. 24 novembre 2019. Credit: Vatican Media

Argomenti: Morte | Vangelo | Viaggio
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