Giovanni 12, 24-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».
Chi vuole trattenere il respiro, muore soffocato. Il respiro è vita e la vita è piena quando viene respirata. Trattenere il respiro, trattenere la vita significa perdere ciò che nella vita è essenziale anche se spesso non si vede o si muove leggero, leggero.
Essere attaccati alla propria vita, significa ripiegarsi su di sé. Essere attaccati alla propria vita è un fatto che avviene quando sembra che l’unica vera nostra preoccupazione sia rivolta alla nostra salute del corpo. Tutto sembra orientato al fatto che dobbiamo morire sani, fuori di testa ma sani. Abbiamo una medicina che è attenta a tutte le parti del corpo, ma che è estremamente deficitaria nei confronti di quelle malattie che ci mandano fuori di testa. E così riempiamo i nosocomi di larve umane. E così continuiamo a dirci che l’importante è non perdere la testa. E sempre più noi perdiamo la testa però siamo attenti al nostro corpo e alla sua salute.
Se ci ripieghiamo su di noi, perdiamo il respiro della vita e il respiro della vita è la relazione. Moriamo soffocati perché sempre più soli, sempre meno capaci di relazione e di amore. Tutto ci riporta ad una attenzione esagerata su di noi, dimentichi che vita e realizzazione corrono su due binari che hanno in sé capacità di dono e capacità di apertura gratuita. Senza falsi slanci di onnipotenza, ma senza nemmeno retrocedere da una direzione che ci porta ad aprici e non a chiuderci, a donarci e non a risparmiarci.
Veramente non riesco ad appassionarmi a tutte le possibilità che il mondo moderno ci offre: respirare meglio per avere …; muovere certi muscoli della pace perché ci evita …; fare certi movimenti perché così …; avere una vita sana perché quando sarai vecchio … Mi verrebbe da dire tutte cose belle, ma a cui non riesco ad appassionarmi, non le sento vitali, le sento spente, le vivo come un giocare sempre in difesa.
Più ci attacchiamo alla nostra vita e più ci ripieghiamo su di noi in una solitudine sempre più disperata, una solitudine che sa di isolamento, una bella cella di isolamento, pur dorata, ma sempre cella.
Noi viviamo perché inspiriamo e espiriamo: la vita circola in quanto ricevuta e data per amore. La vita si realizza nel dono di sé, vero, sincero, gratuito nella sua limitatezza e limitato nella sua gratuità. Siamo un seme: se cadiamo in terra e moriamo portiamo frutto, se non facciamo questo perdiamo la nostra fecondità di vita. Non marciamo, avremo sempre un bel sorriso sulla bocca, ma saremo soli: la grande malattia dei nostri giorni.
Ne consegue che dell’altro non sappiamo cosa farcene. Al massimo cerco qualche povera donna che mi affitti il suo utero per mettere al mondo un figlio che da soli non riusciremmo mai a generare. Al massimo cerco un uomo che mi metta incinta. Ma poi, poi tutto il resto è solo mio, il figlio è mio, non nasce da una relazione e non porta ad una relazione.
La vita è nel movimento, la vita è nel cambiamento. Non come qualcosa da fare a tutti i costi per fare muovere il mercato, no! È cambiamento e movimento impercettibile ma quotidiano da una situazione di chiusura ad una situazione di apertura e di relazione.
Ecco perché chi odia la propria vita, la ama veramente. Aggrapparsi alla propria vita significa essere sotto il capo di questo mondo, che ci spinge sempre più verso il nostro ombelico e sempre meno verso il prossimo. E lui lo sa, e noi lo sappiamo, che più noi viviamo questa realtà e più facciamo il suo gioco: copriamo il nostro chiuderci con un mantello chiamato volerci bene. Dove in realtà questo mantello si chiama chiusura e asfissia, negazione dell’altro e di conseguenza anche di me. Questo mantello si chiama chiusura alla vita perché quando non so più generare altro che cose da consumare e da gettare, vuol dire che siamo alla frutta.
Fatevi tesori in cielo dove i ladri non li raggiungono, dove né tignola né ruggine li possono intaccare. Fatevi tesori che sono tesori veri: generate vita e sarete vivi, non più schiavi della morte.
Anche tu sii chicco di grano: fuggi l’esteriorità, l’innalzamento, il mito del successo, il rumore delle parole, la smania della visibilità. Sta nella terra di tutti, nell’apparente insignificanza dei gesti quotidiani, nella dedizione apparentemente inosservata, sta nella terra dell’apparente insuccesso, nella terra delle domande senza risposta. E ricorda, ricorda al tuo cuore la piccola parabola di Gesù: il seme – è una promessa – “produce molto frutto”. Già da oggi, anche se gli occhi stanchi non vedono.
Angelo Casati
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