In quel tempo, [Gesù, alzati gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
La preghiera di Gesù oggi tocca l’ambito della chiesa tutta. Gesù non prega più solo per i suoi discepoli ma per tutti quelli che crederanno in lui. La preghiera di Gesù è una preghiera per l’unità. Un’unità che, purtroppo, è stata spesso disattesa. Per questo la chiesa ha fallito una delle sue testimonianze più alte: quella che “siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”.
È la gloria di Cristo, è la gloria che Cristo dona alla sua chiesa, ai suoi discepoli e ad ognuno di noi. La gloria di Cristo in noi diviene possibile grazie al dono dello Spirito santo. È la gloria appassionata di Cristo in croce che ci viene donata nello Spirito e che ci spinge alla stessa gloria di servizio all’unità: perché siano uno e il mondo creda.
Una gloria del Figlio che siamo chiamati innanzitutto a contemplare, a contemplare per amarla e conoscerla in profondità e di conseguenza per poterla a nostra volta ricevere dallo Spirito e viverla. Questa è la conoscenza a cui siamo chiamati nell’amore che ci chiama a trasmettere nella testimonianza. Questo amore, che è Spirito, è il veicolo della gloria e della testimonianza dell’unità.
Noi non siamo chiamati a conoscere Cristo in modo intellettuale, noi siamo chiamati a masticarlo, a fare comunione. Ogni conoscenza di Cristo fine a se stessa è un tradimento di Cristo stesso. Oggi noi siamo dei traditori perché più preoccupati di conoscerlo in modo intellettuale, come se fosse una materia di esame. Non vogliamo che Cristo stravolga le nostre giornate. Noi dobbiamo conoscerlo, ci diciamo con la vita, ma poi la vita è tutt’altra cosa. Tutto quello che di Cristo noi cerchiamo di fare diventare vita, ci intimorisce e terrorizza coloro che stanno accanto a noi.
Stiamo perdendo il gusto del dono. E allora se ti imbarchi per una avventura in Africa sei un pazzo, non sai cosa voglia dire, non riuscirete mai, ma cosa vi salta in mente, ma siete sicuri di stare bene, siete sicuri che ce la farete, siete sicuri di non ammalarvi, ma avrete da mangiare?: tutte preoccupazioni mondane che non hanno nulla a che vedere con la Vita e con Cristo glorificato che ci invita a partecipare alla sua gloria.
Se manca questa capacità di dono, di conoscenza d’amore della gloria del Cristo donataci nello Spirito, allora il vangelo non ha senso. Sarebbe meglio che noi chiudessimo tutte le nostre parrocchie e le nostre chiese, e i nostri conventi, e il Vaticano, e le curie, e le opere di carità se non riscopriamo, al di là delle chiacchiere, il gusto del dono, noi non saremo mai più sale della terra e luce del mondo.
Le nostre liturgie sono vuote e aride perché la nostra vita è vuota e arida non conoscendo più la bellezza del dono. Anche noi cristiani ci siamo ubriacati pensando che la soddisfazione di ogni nostro bisogno fosse la cosa più importante della nostra esistenza. Ci troviamo morti nel desiderio di vita e incapaci di dono.
Le nostre famiglie si sfasciano perché non c’è più capacità e desiderio di dono; e se solo uno accenna a questo desiderio lo prendono per matto. Non c’è più nessuno che dona tutta la propria vita per gli altri: dove potremo trovare un medico che si interessa ancora dei suoi malati anziché dei suoi interessi? Dove troveremo un prete che è attento al proprio gregge e non alla propria salvezza? Non c’è più nessuno che si vuol fare prete, ma non perché questa vocazione non sia più un servizio, ma perché la capacità di dono è spenta. Le nostre chiese ormai sembrano un assembramento di gente che ha lo stesso sapore di una minestrina fatta col dado. Giustamente la gente va da un’altra parte. Le nostre comunità cristiane, le nostre comunità religiose, seguono a ruota.
Noi occidentali non riusciamo più a ritrovare il gusto della vita e del dono. C’è più gioia nel dare che nel ricevere: abbiamo perso anche questa gioia. Ma ciò che è peggio è che noi crediamo che questo sia il modo migliore di intendere la vita e ci diamo un gran daffare per esportarlo con la nostra globalizzazione: spero che i poveri del mondo ci diano una mano a ribaltare questa nostra concezione anti cristiana.
Accogliamo lo Spirito che ci spinge alla gloria di servizio e di dono che nasce da una conoscenza amorevole vera. Lasciamo spazio a che l’amore con il quale il Figlio è stato amato dal Padre possa travolgere le nostre vite e possa schiantare quelle sicurezze false, delle quali noi ci riempiamo e che ci rendono sempre più insulsi e vuoti.
Manda a noi o Signore il tuo Spirito creatore perché rinnovi la faccia della terra, la faccia del nostro cuore. Amen!
Nessuna parte di corpo che muore
nessun pezzo umano, nessun arto,
nessun flusso di sangue, nessun
cuore, nessuno, niente che sia
stretto nel giro del sole, niente
che sia solo terrestre umano muove
il tuo cuore al mio, il mio al tuo,
come fossero due parti di un uno.
Allora tu sei la mia lezione più grande
l’insegnamento supremo.
Esiste solo l’uno, solo l’uno esiste
l’uno solamente, senza il due.
Mariangela Gualtieri
Dov’è il Padre? Il Padre è nel Figlio. E dov’è il Figlio? Il Figlio è in noi. Qual è la parte più visibile di Dio? Noi.
Questa è la grande responsabilità che ci è stata consegnata, e cioè quella di essere la visibilità di Dio.
M. Epicoco
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