Luca 21, 5-11
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo».
Mi sovviene nel cuore un pensiero: a cosa lego il mio cuore? Per capire a cosa lego il mio cuore rifletto sul fatto che i miei pensieri continuano a girare intorno ad una certa faccenda e ad una situazione di vita ben precisa.
Dove continuano ad andare a finire i miei pensieri; cosa continuamente muove il mio cuore; di cosa si preoccupa il mio spirito; quali sono i desideri che vengono a galla nelle mie giornate; dove si vanno ad attaccare le mie ansie e le mie paure; quali sono le cose che provocano in me delusione; che cosa dà pace e gioia al mio spirito.
Riflettere su queste affermazioni esemplificando è un modo, senz’altro non l’unico, per tentare di capire a quali belle pietre e a quali doni votivi io lego la mia esistenza.
Riflettere su questi interrogativi mi porta a cogliere che cosa è ancora importante ed essenziale per la mia esistenza. Quali sono le sfide, quali sono gli impegni, quali sono le realtà, quali sono le cose a cui lego la mia esistenza non tanto perché sento che queste cose possono dare vita a me, quanto invece perché senza di queste mi sento morire, non mi sento valido, mi sento cadere nell’incertezza.
Sono queste le cose che, ne sono certo, non rimarranno in piedi. Sono questi i templi e i doni votivi che non hanno futuro e dei quali non rimarrà pietra su pietra.
Che cosa sono al mondo a fare? Quale è il senso del mio camminare? Perché mi ingolfo di cose indaffarandomi continuamente fino a rischiare di morirci sotto, in cose che non sono vita ma succhiano vita? Sono cose che dobbiamo fare? Forse sì e forse no! Sono affari senza i quali uno non avanza nella società? Può darsi. Ma ciò che importa è a che cosa io lego la mia vita. Quali sono le cose senza le quali la mia esistenza viene meno, la mia vita scema.
E ritorno a pensare! Ritorno a riflettere! Ritorno ad interrogarmi! Ritorno a sentire la risonanza che tutto questo ha in me. Mi accorgo che queste sono solo delle occupazioni che danno preoccupazioni. Hanno una loro importanza nella vita, ma non posso permettere loro di sostituirsi alla vita. Permettere questo è un semplice suicidio annunciato della nostra umanità e della nostra esistenza.
Posso fare anche molte cose con la consapevolezza che non sono queste che danno sugo al mio esistere. Lì, nel profondo del mio essere, quando al mattino me ne sto solo con la Parola, solo con mio Padre, solo nel silenzio del mio giardino – che è un grande dono che tanti non hanno -, lì io mi rendo conto che tutto questo è solo fumo negli occhi, che è cosa poco importante, che non è vita anche se mi chiede vita.
Lì sento dentro di me che il centro non può essere quello. Che tutto quello non è il perno della ruota ma per bene che vada, un semplice raggio che ha la sua importanza ma non potrà mai tenere insieme la ruota. Ogni raggio è importante ma senza il perno centrale i raggi di una ruota sarebbero buoni solo per giocare a shangai!
Ritornare al centro, non dimenticarsi che non sono le cose che facciamo che danno senso al nostro esistere. Ritornare alla nostra interiorità che sola ci dice il senso del vivere. Tutto questo significa guardare la vita con gli occhi di Dio Padre fidandomi della sua sapienza che è stoltezza per noi umani.
Quando in me sento risuonare la vita, sento che sono arrivato al centro dove le cose si quietano, dove l’ansia diventa pace, dove il bisogno di farmi valere di fronte agli altri si spegne; lì al centro della vita ritrovo me stesso e specchiandomi nel volto di Dio mi vedo nella mia interezza.
A quel punto la mia vita non dipende più dalle pietre dei miei templi e dei miei doni votivi, dai miei sacrifici e dalle mie messe, ma tutto ritrova senso, il senso proprio, il suo giusto posto, perché il mio cuore si è perso nel cuore di Dio, quel Dio che inabita in me col suo cuore. Il vortice vitale della dinamica Trinitaria diventa il mio vortice, diventa la mia vita, diventa il movimento esistenziale della mia vita che risuscita dalla distruzione di quelle pietre che sembravano essere la cosa più bella del mio vivere e che, invece, sono solo fredda pietra che non potrà mai dare vita. Pietra magari bella che fa sfoggio di sé come una bella cattedrale che è tale grazie al fatto che ogni pietra è al suo posto. Come una bella cattedrale, appunto.
Non come una casa luogo di vita e di accoglienza e di relazione. Luogo dove si mangia e luogo dove il mangiare è fatto insieme e non in solitudine, in quella solitudine che è propria dei bei templi dei quali non rimarrà pietra su pietra. Quella solitudine che è data dal dono del superfluo e non di tutto quello che, nella nostra miseria, abbiamo per vivere; noi poveri come povera era la vedova che ha donato due spiccioli al tesoro del tempio divenendo il vero tesoro vitale, in mezzo a tante monete che creano distanza e non creano comunione e condivisione, non creano casa.
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