11 Febbraio 2024 Marco 1, 40-45

Giovanni Nicoli | 10 Febbraio 2024

Marco 1, 40-45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

 

I nostri momenti più disperati possono essere luogo perché si radichi la disperazione oppure possono essere luoghi di risurrezione.

I luoghi e i tempi disperati non sono meglio né peggio dei momenti di prosperità. Sappiamo, come ci dice il salmo, che l’uomo nella sua prosperità non comprende, è come gli animali che periscono, è come instupidito dalla sua vanità. Ma non è detto che la cosa migliori automaticamente in situazioni di lebbra, in situazioni senza soluzioni, in situazioni in cui non vi sembra più essere possibilità per una vita umana.

Vi sono momenti di lebbra fisica psicologica, morale e spirituale. Ognuno di noi ne ha, chi più chi meno, in modo più o meno grave.

Ma che cosa ne facciamo di questi momenti? La morte per noi è solo una soluzione finale della nostra esistenza. Mentre invece la morte è cosa quotidiana che coinvolge tutte le nostre scelte. In ogni momento della mia vita sono chiamato a morire e a vivere allo stesso tempo. La morte è luogo vitale di vita. Come è luogo vitale di vita, per il lebbroso, la sua lebbra. È luogo per l’invocazione: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. Può diventare, magari chissà dopo quanto tempo, luogo per un cammino di fiducia nella vita. Ma come si può avere ancora fiducia nella vita quando si è inchiodati in un letto mangiati da un tumore o dall’AIDS o dal Covid?

In queste situazioni credo sia importante il coraggio di ritornare all’incontro. Tu lebbroso, emarginato per eccellenza, sei condannato al non incontro. Tu che non puoi essere guarito ed essendo tu contagioso, sei relegato fuori, non hai possibilità di rapporti umani. Tu malato di cancro sei condannato alla solitudine di un letto di ospedale. Tu depresso sei condannato ad essere evitato da tutti come persona fastidiosa e tediosa. Da te dipende un passo per andare incontro a chi è disponibile ad incontrarti. Un passo che smuove innanzitutto la tua disponibilità ad incontrare di nuovo. Un passo che smuove la tua fantasia a cercare chi l’incontro non lo rifiuta, rimettendoti in cammino per ricercare questo incontro.

Gesù, nella sua giornata di Cafarnao, trova il tempo per incontrarsi con te impuro. Trova questo morto vivente che chiede di essere purificato, di ritornare nel consesso dei viventi, di uscire dalla tomba di morte in cui la sua malattia lo avevano rinchiuso.

Questo uomo evidenzia, e noi con lui, che ciò che è importante per vivere e per vivere la fede è la libertà. Libertà che è l’essenza del messaggio evangelico: senza la libertà non vi può essere vita, non vi può essere fede. Niente mi obbliga o mi può obbligare. L’amore non obbliga, l’amore libera. Gesù che libera dalla lebbra, rende capace l’uomo di essere ancora umano. L’obbligo uccide la persona, ciò a cui siamo chiamati è l’amare liberamente.

Importante, in queste situazioni, è rinnovare l’incontro con persone che sono incontro, con persone che hanno compassione. È interessante cogliere come questo termine tradotto con compassione, nell’insieme del testo originario dice in realtà “adiratosi”. È l’ira del Signore contro la lebbra, è l’ira del Signore contro l’isolamento a cui erano condannati i lebbrosi. Ira contro il male che diventa compassione verso il lebbroso. Credo sia bello vedere la compassione che si accompagna all’ira. Cogliere come l’ira contro il male sia forza e spinta per la compassione verso il malato.

Gesù “prova compassione”, sente propria la sofferenza, prova una commozione viscerale, quasi materna. La misericordia è spazio di rigenerazione dell’altro. Nel lebbroso Gesù non vede un castigato da Dio, ma un figlio di Dio.

Ira e compassione sono premesse perché Gesù tocchi il lebbroso, perché possa essere purificato dal suo isolamento. L’ira e la compassione di Gesù non rimandano i tempi della purificazione, li rendono attuali, debbono avvenire subito. Per questo tocca il lebbroso. È come se dicesse al lebbroso a parole e coi fatti, coi gesti: sii guarito, sii purificato.

È il sacramento della purificazione e della guarigione, è il sacramento del ritorno alla vita e alla vita sociale, è il sacramento della risurrezione. Eri morto, solo, isolato, impuro, malato e maledetto: ora sei vivo e risorto, sei tornato in mezzo a noi: benvenuto. Il sacramento ha due elementi essenziali per essere tale: la Parola e il gesto, il dire e il fare. Intorno al simbolo si realizza la vita fatta di parola e di gesto.

Gesù disse “lo voglio, sii purificato”, mentre lo tocca con la mano. Tocca un lebbroso, cosa proibita. Gesù supera la proibizione, lo tocca e dice: “Lo voglio, sii purificato”, ti voglio benvenuto di nuovo nella società e nella comunità. La purificazione, il rientrare nella società, è interessante vedere che non porta ad alcuna dipendenza. Ti ho toccato, sei ritornato, ora vai in pace. Lo cacciò via subito! Non sei mio, ti ho purificato, ma non sei mio, sembra dire il Signore.

“La vita della Chiesa dovrebbe basarsi interamente sull’amore e sulla libertà. La Chiesa non deve essere un’autorità che permette o vieta, la Chiesa deve generare uomini liberi, capaci di realizzare liberamente la loro vita nella luce dello Spirito”, dice Atenagora, patriarca di Costantinopoli dei tempi andati.

La libertà è necessaria: senza libertà non vi può essere adesione a Dio. Senza libertà non vi può essere amore. Senza libertà vi è un cieco che non porta da nessuna parte.

Gesù poi, toccando il lebbroso, contrae impurità rituale, entra nella sfera del male dell’altro: il prezzo della guarigione che Gesù compie è l’assunzione su di sè dell’impurità dell’altro.

Ha scritto Lev Tolstoj: “Non c’è sporcizia più grande di chi non vuole sporcarsi le mani con gli altri”.

Quando tutta la distanza è vinta, il tocco di Gesù ricostruisce la nostra umanità.

Tolentino de Mendonça

Lo voglio! Guarisci dalla tua fede fredda e anonima.

Lo voglio! Guarisci dalla prepotenza, dall’orgoglio,da una mente chiusa e da orizzonti stretti.

Lo voglio! Guarisci dalla sicurezza che oscura la fede, dall’abitudine che soffoca la speranza, dall’indifferenza che uccide l’amore.

Luigi Verdi

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26 Luglio 2024 Matteo 13, 18-23

La Parola non deve essere inscatolata nelle mie convinzioni e nei miei modi di pensare la vita, la Parola può essere solo amata e da amata riversata sui fatti della nostra esistenza.

Così, libera dai nostri incubi sanati dal suo amore, farà rinascere germogli di verità anche nel nostro quotidiano.

PG

Giuro che io salverò la delicatezza mia
la delicatezza del poco e del niente
del poco poco, salverò il poco e il niente
il colore sfumato, l’ombra piccola
l’impercettibile che viene alla luce
il seme dentro il seme, il niente dentro
quel seme. Perché da quel niente
nasce ogni frutto. Da quel niente
tutto viene.
Mariangela Gualtieri

25 Luglio 2024 Matteo 20, 20-28

Ci sono molti che amano occupare gli ultimi posti

per “ESSERE DETTI” che non sono come quelli

che invece amano occupare i primi…..

Gli ultimi posti che si occupano nella dimensione fisica

non sempre corrispondono agli ultimi posti

che invece è necessario occupare nella dimensione spirituale….

Chi si siede agli ultimi posti per primeggiare,

in fondo mostra una superbia peggiore di chi si si siede al primo posto …

Mentre il secondo pecca solo una volta, e pecca solo per superbia,

il primo ahimè pecca due volte: e di superbia e di ipocrisia…

Soren Kierkegaard

24 Luglio 2024 Matteo 13, 1-9

Nel seme della parola, Gesù racconta la vita che si dona, l’esistenza che desidera portare frutto. Dio parla a ogni terreno, si consegna in ogni situazione. Qualunque terreno io sia, Dio continua a gettare in me la sua parola. Qualunque tipo di terreno io sia, continua a consegnarsi nella mia vita. Dio si gioca con me, rischia. Sta in bilico tra la follia e la fiducia, in un modo tale che per me rimane incomprensibile.

G. Piccolo

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