In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Noi che abbiamo tutto, non possiamo dare nulla. Noi che abbiamo tutto saremmo considerati degli stolti se dessimo tutto. Noi che abbiamo tutto, siamo troppo preoccupati di salvaguardare questo tutto per potere donare tutto.
Chi può dare tutto è colui che ha poco ma è tanto. Chi può dare tutto, è colui che non ha grandi riconoscimenti sociali. Chi ha grandi riconoscimenti sociali, è preoccupato di salvaguardare il suo buon nome. Il buon nome che troppo spesso è dato da quello che ha, più che da quello che realmente è.
Noi, abituati a comprarci tutto, crediamo che il potere comprarci tutto sia il vero senso delle cose e il vero valore della persona. Se non puoi permetterti una certa cosa, non vali, o non vali più, o non vali abbastanza. Chi si può permettere tutto, lui sì che vale: lo dimostriamo ogni giorno con le nostre invidie nei riguardi di chi si può permettere tutto.
La salvezza viene da questa vedova che non dà del superfluo, ma tutto quello che ha per vivere. Il Signore non guarda all’apparenza, il Signore guarda al cuore. Il cuore delle tante vecchiette che sembrano essere le uniche vere colonne della chiesa, che sgranano i loro rosari per salvare e sostenere il mondo. La chiesa che va avanti grazie al loro impegno a guidare i nipoti che sentono parlare del Padre con affetto.
Dovremmo portare i nostri ragazzi da queste vecchiette, per lasciare che raccontino la loro vita, per lasciare che possano assorbire sostanza, vita, fede. Dovremmo fare raccontare da loro che cosa significa credere, non dai nostri catechismi mentali e freddi. La fede è un’esperienza, non è una formula chimica. Le nostre nonne sono l’esperienza che travalica ogni apparenza. I nostri catechismi sono formule chimiche che non reagiscono e non fanno reagire più. Freddi come formule perfette nella loro formulazione, lasciano indifferenti e non scaldano il cuore a nessuno.
Nella vita siamo chiamati a scegliere: o ricevere onori dagli altri, magari sotto le spoglie di invidia, oppure ricevere onore da Dio che chiede il nostro cuore, non le nostre cose. Lui chiede il nostro amore, non le ricchezze segno di povertà interiore.
Gesù di fronte a questa vedova chiama a sé i discepoli, come di fronte ad un grande evento: lasciamoci chiamare da Gesù a cogliere la bellezza dei cuori più che l’apparenza dei portafogli, e troveremo una miniera inesauribile che darà vita a noi e ai tanti che attendono la buona novella: se la sapremo vedere e scoprire e amare.
Noi siamo purtroppo ancora convinti di potere dare qualcosa agli altri. Non facciamoci ingannare dai due spiccioli della vedova e dalle offerte dei ricchi al tesoro del tempio!
La vera chiamata cristiana dalla quale nessuno può sottrarsi, se vuole controfirmare un contatto cristiano con Dio, è quella del dono di sé. Se uno non è povero dentro, se uno non è libero dentro, non darà mai se stesso, non darà mai tutto se stesso.
Non importa che noi diamo tanto in soldi, normalmente mettiamo a posto la nostra coscienza con questo perché siamo convinti che i soldi siano tutto. Non importa che noi diamo del nostro tempo, ci sentiamo bene e ci mettiamo in relazione con l’altro da una posizione superiore: noi siamo i bravi che danno e tu sei il povero che riceve. Niente vale quanto il dono dato di nascosto. Se non siamo capaci di gratuità non siamo capaci di vero nascondimento, prima o poi presenteremo il conto al povero.
Essere cristiani significa dare tutto quello che abbiamo per vivere: essenziale è donare se stessi. Siamo poveri ed incapaci? Anche la vedova lo era, era solo due spiccioli. O entriamo in questa dinamica dell’essere oppure saremo sempre schiavi delle nostre ricchezze e ce ne torneremo a casa tristi come il giovane ricco. O ci lasciamo provocare a dare il nostro cuore oppure saremo sempre convinti di potere comprare il prossimo e Cristo coi nostri soldi e col nostro fare. Che diremmo noi se uno che ci vuole bene volesse comprare il nostro amore con soldi, coi regali, coi suoi servigi?
Diamo il nostro cuore, diamo la povertà di quello che siamo: saremo veramente cristiani, non falsamente cristiani; saremo amanti nel Signore e non sfruttatori del prossimo e della sua povertà; saremo travolti dalle grandi acque dell’amore e ci lasceremo trasportare dall’oblio della gratuità dimenticandoci quanto abbiamo fatto e consegnandolo invece al grande tesoro del tempio: il cuore amato dei nostri fratelli, il cuore amante del Cristo crocifisso.
Amare è far dono all’altro della propria povertà. Al tempo stesso, quel dono di niente, che parte dal niente, è dono di tutto, perché è dono di sé.
La dimensione simbolica del dono ci dice che, quale che sia il dono che si fa, l’intenzione è di donare se stessi e creare, attraverso il dono, un incontro e una relazione.
Manicardi
L’amore non riguarda la quantità ma la qualità, cioè la capacità del cuore di togliere qualcosa da sé per darla a un altro.
De Martino
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