9 Luglio 2023 Matteo 11, 25-30

Giovanni Nicoli | 8 Luglio 2023
Matteo 11, 25-30
 

In quel tempo Gesù disse:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Il testo del vangelo di oggi inizia con una notazione temporale: “In quel tempo”. Questa affermazione lega ciò che Gesù sta per dire agli eventi appena narrati: la domanda del Battista sulla messianicità di Gesù e lo scarso successo della sua predicazione e missione.

Ci dice il vangelo: “In quel tempo, rispondendo, Gesù disse”. Questa risposta reagisce a degli eventi, non a una domanda esplicita che nel testo non c’è. Gesù risponde allo scarso interesse suscitato dalla sua persona, dalla sua predicazione, dalle sue opere. E vi risponde con la preghiera, addirittura una preghiera di ringraziamento: “Ti benedico, Padre”.

Gesù vive nella preghiera l’insuccesso mettendo tutto davanti al Padre, confermando il suo “sì”, il suo “amen”, la sua decisione di adesione a Lui. Il suo “sì” al Padre non è condizionato dal successo della sua missione: è un’adesione anche se vi sono situazioni sfavorevoli che non intaccano. Il “no” che la sua persona e il suo ministero hanno ricevuto dalla realtà, confermano nella sua preghiera il suo “sì” al Padre.

La preghiera è una risposta che reagisce alla parola di Dio così come a eventi della vita che non possono lasciare indifferente il credente. Con la preghiera anche il fallimento, o ciò che noi giudichiamo tale, evidenzia il rifiuto e il disinteresse degli altri. Questa realtà non è motivo di scoraggiamento o di abbandono, ma momento di conferma della sequela del Signore.

Gesù, con la sua umiltà, rivela l’umiltà di Dio: Gesù si propone come fonte di umiltà per i suoi discepoli. Troviamo un inno di ringraziamento, un monologo sul rapporto tra Gesù e il Padre e l’invito a mettersi alla scuola di Gesù assumendo il suo giogo.

La preghiera di ringraziamento mostra Gesù che manifesta la sua fede nel Padre: porta a fare di un insuccesso il fondamento di un rendimento di grazie e di una conferma della propria missione.

Questa preghiera è ringraziamento a Dio che rivela ai piccoli i suoi disegni. In particolare, rivela l’uomo Gesù come Messia. L’adesione di alcuni, i “senza parola”, i senza istruzione, è l’angolatura da cui Gesù guarda gli eventi e li coglie nella loro dimensione positiva, svelando il volere di Dio.

Questi semplici, credendo alla parola e alle opere di Gesù, hanno colto in Lui il Padre. È un “sì” che sgorga dalla familiarità di Gesù con il cuore di Dio, un cuore che predilige il minore, il piccolo, il dimenticato.

Il Dio che si rivela ai piccoli è il Dio che Gesù stesso rivela. In quanto “mite e umile di cuore”, Gesù, a cui Dio ha consegnato tutto, rivela Dio. Questo il segreto: la sapienza nascosta abita nel Padre; Gesù la svela con la sua mitezza e umiltà! Dio si sottrae a chi si appoggia sulle proprie forze e conta sulla propria intelligenza, sulle proprie doti e capacità manifestandosi agli umili, ai senza pretese, ai piccoli.

Le parole di Gesù dicono che andare a Lui, imparare da Lui apprendendo la mitezza che è l’arte di vincere la violenza e l’aggressività, significa andare incontro all’altro con la parola. La beatitudine dei miti è la beatitudine di chi si sottomette alla fatica del dialogo.

Mitezza fatta persona Cristo: lo è in quanto parola fatta carne! Parola che Dio interpone fra sé e gli umani non per imporre, ma per invitare, per suscitare uno scambio, per far entrare liberamente nella relazione con Lui. Accogliere la rivelazione del Cristo mite è entrare nel dialogo di Dio come via per la relazione autentica. Autentica non violenta, non manipolatoria, non impositiva.

Il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico, evita i modi violenti, è paziente, è generoso.

Il “giogo” di Gesù non designa comandi da eseguire, ma una relazione, un legame, che è un “riunire”, un “mettere insieme”. Il giogo di Gesù leggero e soave è in continuità con il comando di amare: chi ama fa con gioia la volontà dell’amato.

Gesù promette riposo a chi assume il suo giogo: un’esistenza credente che non è frenetica attività senza sosta e riposo: Cristo è fonte di riposo nella fatica e di consolazione nelle contraddizioni. Lui plasma il volto del credente non a immagine e somiglianza di iperattivi e nervosi, ma di Lui stesso, mite e umile, paziente e benevolo.

Un giogo resta un giogo e nulla toglie la fatica di portarlo. Amare è un lavoro impegnativo e la sequela di Cristo comporta sforzo e fatica. Di fronte alla tentazione diffusa di eliminare dal vivere ciò che è faticoso e comporta sofferenza in nome dell’idolatria del “tutto, subito e senza sforzo”, occorre ribadire che non si danno grandi realizzazioni umane e spirituali senza fatica, dedizione, sacrificio.

Non dimentichiamo che il giogo dell’obbedienza portato da Gesù durante tutta la sua vita è divenuto, alla fine della sua vita, un portare la croce.

Il Dio di Gesù non va alla ricerca dei primi della classe, dei potenti, di quelli che contano. La Sua rivelazione è per i piccoli, a loro consegna il privilegio dell’intimità.

Paolo De Martino

 

La mitezza non è solo rifiuto di ogni forma di aggressività e di impazienza, di risentimento e di indifferenza, ma è anche la premessa ad un radicale cambiamento nel modo di considerare la vita, e di viverla…

Eugenio Borgna

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L’ascolto che ci porta alla verità dell’altro, a conoscerlo e ad

accoglierlo, non nasce dai suoi dati personali, dalla sua carta di identità, dal suo

codice fiscale, dalla sua tessera sanitaria. L’ascolto che ci porta alla verità dell’altro

nasce dall’amore per l’altro. Ospitandolo e accogliendolo con cuore aperto e senza

giudizio, lo posso conoscere veramente, lo posso ascoltare nella sua totalità, lo

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“Non è la molteplicità umana che crea la socialità, ma è questa relazione strana che inizia nel dolore in cui faccio appello all’altro, e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro che non mi è indifferente. È la compassione… Soffrire non ha senso, ma la sofferenza per ridurre la sofferenza dell’altro è la sola giustificazione della sofferenza, è la mia più grande dignità… La compassione, cioè soffrire con l’altro è la cosa che ha più senso nell’ordine del mondo”.

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6 Ottobre 2024 Marco 10, 2-16

“Due sposi, nel giorno del matrimonio, non dovrebbero promettere di stare insieme per sempre, ma di tenere per sempre vivo l’amore: è questo che consente loro di crescere”.

G. Borsato

Dite: è faticoso frequentare i bambini.

Avete ragione.

Poi aggiungete:

perché bisogna mettersi al loro livello,

abbassarsi, inclinarsi,

curvarsi, farsi piccoli.

Ora avete torto.

Non è questo che più stanca.

E’ piuttosto il fatto di essere obbligati

ad innalzarsi fino all’altezza

dei loro sentimenti.

Tirarsi, allungarsi,

alzarsi sulla punta dei piedi.

Per non ferirli.

Janusz Korczak

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