Matteo 26, 14-25
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
La dialogicità del nostro esistere ci porta a vivere la Quaresima e la Settimana santa come preludio alla Pasqua e al periodo pasquale.
L’armonia è fatta di note diverse, senza questa diversità vi sarebbe un suono monocorde, non armonia. Il canto e il controcanto sono temi melodici che vengono dalle persone. La diversità di note in un coro è importante, ed è importante che le voci si ascoltino armonizzandosi per creare un bel canto.
Il giorno e la notte formano la vita che cresce e che muore. Nell’alba vi è già il tramonto e viceversa. Nella primavera ritroviamo l’autunno. Nella nascita ritroviamo la crescita mortale che più ti fa crescere e più ti avvicina alla morte.
Il passaggio chiede di lasciare per potere trovare, di abbandonare un luogo più o meno sicuro per andare incontro ad un luogo non più di tanto chiaro.
La ferialità chiama la festa e la festa chiama la ferialità. Non c’è vera festa senza la ferialità e non c’è ferialità senza vera festa. Il contrasto del cambio è importante ed essenziale per il desiderio dell’uomo. Noi che non siamo più abituati a smettere di lavorare, noi che non siamo più abituati a fare quaresima e tutto è un carnevale, noi che non siamo più abituati alla fame per desiderare di mangiare, noi che non siamo più abituati al dolore per gioire della guarigione …
Il dialogo ha senso se si parla e se si sta zitti. Il dialogo è fatto di parola e di ascolto. Possiamo essere frastornati dalla mancanza di ascolto. Tutti parlano, nessuno ascolta; si fa un discorso serio e in qualsiasi modo e in qualsiasi momento uno si sente autorizzato ad intervenire parlando di frivolezze; uno arriva con mezz’ora di ritardo e pretende che tutti ricomincino da capo l’incontro ripetendo tutto di nuovo e facendo perdere un sacco di tempo prezioso per nulla.
Io che sono infastidito dal ripetere due volte la stessa cosa mi ritrovo con persone che mi ripetono tre volte la stessa cosa e sembra che ne abbiano un gran bisogno.
Una diversità che chiede conversione per imparare un canto nuovo, per cogliere la bellezza di una cultura nuova che a pelle mi infastidisce. Mi infastidisce come mi può infastidire la Quaresima e la Settimana Santa, due momenti di vita che risultano essere sempre più inutili, lontani dalla nostra esistenza e senza significato.
Ma la loro inutilità mette in evidenza la vera realtà della nostra esistenza. Il fatto che ci infastidisce significa che ha qualcosa da dirci, da comunicarci. Senza questa inutilità la nostra vita non sarebbe mai un canto alla vita. Senza il fastidio non apprezzeremmo più le cose belle. Senza il chiaro scuro, proprio dell’arte, non riusciremmo più a gustare la bellezza di certe sfumature: tutto sarebbe monotono e uguale.
Se non vi fosse l’uomo la donna non saprebbe di essere donna e, soprattutto non potrebbe valorizzare e gustare tutta la sua diversità. Se non vi fosse la donna quanta parte dell’identità dell’uomo sarebbe vana e quanto perso sarebbe l’uomo nella sua vanità onnipotente. Cosa se ne farebbe la donna della sua sensibilità senza un uomo da riempire. Cosa se ne farebbe l’uomo della sua fisicità senza una donna da amare. Tutto sarebbe vano.
Il tradimento di Giuda, che sono poi i miei tradimenti, mi richiama la bellezza e la concretezza della fedeltà. L’ottusità di Giuda e dei discepoli di Gesù, la loro incomprensione di tutto ciò che avveniva intorno a loro, mi richiama le mie incomprensioni e le mie ottusità che mi mostrano la bellezza della libertà donata dal Figlio che è Via, Verità e Vita.
La fanaticità con cui perseguiamo i nostri intenti e ricerchiamo i nostri tesori, non ci permette di scorgere e di valorizzare il grande tesoro della nostra vita. Lo vendiamo per 30 denari, perché non comprendiamo la profonda bellezza di questo tesoro nascosto nel campo della nostra esistenza. Che l’inutilità di queste giornate sia occasione per gustare l’utilità del nostro quotidiano e possa liberarci dalla schiavitù dell’apparenza che lega il nostro cuore a cose veramente poco utili.
Non siamo diversi da Giuda: consegniamo il divino alla religione, non sappiamo guardare nei suoi occhi, non sappiano ospitare i suoi sogni, rifiutiamo il giogo della sua grazia, diffidiamo delle sue vie, non vogliamo accoglierlo dentro la nostra carne, scegliamo di essere polvere tranquilla che diffida del suo alito di vita eterna. Allora lo cediamo al sistema religioso perché se ne prenda cura al posto nostro.
Avveduto
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