21 Maggio 2023 Matteo 28, 16-20

Giovanni Nicoli | 21 Maggio 2023
Matteo 28, 16-20
 
 
 

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Prima viene sempre una chiamata: questa è la dinamica di Gesù. Lui chiama i suoi undici discepoli a intraprendere un pellegrinaggio. È una chiamata a tornare a casa, entrando nel profondo del pozzo. È chiamata ad avere una relazione con il nostro io profondo.

È chiamata ad andare e ad annunciare: andate col vostro corpo ed annunciate facendo miei discepoli tutti i popoli. È bello essere chiamati ad annunciare la luce in mezzo alle tenebre, ad essere porta per chi è la porta della luce, vivere la soglia come luogo di incontro col prossimo, vivere tutto questo come luogo di fecondità.

È una missione per tutti i popoli, senza eccezioni. Non ha nulla a che vedere col nostro bisogno di rendere tutti dei nostri! L’annuncio, l’evangelizzazione non è portare altri nel nostro gregge, dalla nostra parte, quanto invece in quella di Dio. La chiamata alla fraternità non è mezzo per rendere più forte la nostra parte e il nostro gruppo.

Gesù ha fondato non una cosa grande quanto invece un modo di camminare tutti insieme, grazie ad un movimento dinamico. L’autoreferenzialità, che avvolge le nostre scelte, è cosa che perverte, non che dona vita. Questo ci permette di cogliere la crisi anche delle nostre chiese quando diventano luogo di consolidamento. Solo se siamo fuori casa, in cammino, possiamo cominciare a sentire che tutti siamo di tutti. Essere dentro, affacciati alla propria finestra, rende tutti semplicemente “gli altri” e non fratelli!

Essere discepoli è cogliere la chiamata alla cura, all’annuncio e al battesimo! Curare è purificare. Annunciare è essere strumenti perché la Parola sia Luce. Battezzare è strumento per unificare.

Curare è il potere che permette di cogliere le ombre che si proiettano su di noi come sul prossimo, come sul mondo. Ombre che evidenziano le nostre ferite che non siamo mai stati capaci di cicatrizzare. Curare il nostro lato oscuro. È un invito a scoprire la bellezza di avanzare, il più delle volte semplici e nudi oltre che fedeli, verso l’oscurità interiore che comincia a illuminarsi e il cuore che inizia a purificarsi, vale a dire a cogliere la fatica e la bellezza di pulire la fatica stessa. Così il cammino si compie in noi mentre noi compiamo il cammino. È diverso da come ce la immaginiamo: è un cammino più lento, più discreto, più morbido, più rispettoso. Così ci avviciniamo a ciò che siamo, ricordando quasi in modo confuso, quello che siamo stati.

Questa cura ci porta ad annunciare mostrando la luce della parola. Parola mostrata agli altri mentre la mostriamo a noi stessi. Noi che siamo invasi continuamente da messaggi buoni e cattivi ridondanti, possiamo cogliere l’invito ad annunciarci la buona notizia fino a convertici nella buona notizia stessa, perché non ha alcun senso annunciare a qualcuno, qualcosa che non siamo. Un annuncio più vivido che eloquente, illuminante più che abbagliante. È una comunicazione da cuore a cuore perché povera, senza alcuni mezzi per riempire l’altro di apparenza. Troppo spesso i mezzi sofisticati che utilizziamo, non sono altro che un impedimento al raggiungimento del fine.

La buona notizia è buona perché si fa realtà ogni volta che viene proclamata: è la benedizione di chi la annuncia! L’annuncio che realizza, sia in chi la fa come in chi lo riceve, è bellezza di pienezza e di salvezza.

La parola annunciata entra nel cuore di chi l’ascolta, di chi è capace di ascoltarla. Prepararsi ad ascoltare la Parola, magari nel silenzio del cuore, è lasciare che lo Spirito entri in noi grazie a chi testimonia la stessa. Quando lo Spirito tocca qualcuno si evidenziano dei segni inconfondibili: uno smette di vivere per sé e si riempie di accettazione e di gioia.

Perché non basta parlare ed è necessario anche agire? Perché la parola vera non è insegnamento quanto invece un avvenimento. La parola mette in movimento chi la proclama e chi l’ascolta provocando entrambi a trasformarla in gesto. Un gesto umile, non cosa eclatante e imponente. Un po’ di pane? Un bicchiere di acqua? Un abbraccio? Una telefonata? È bello e buono, cogliere che una parola che non si fa corpo è menzognera. La bellezza del rendere azioni le parole è movimento di cuore, di vita, di conversione. È vivere quanto riceviamo e quanto doniamo non come una routine da ripetere, ma come rituale toccante e cosciente.

Così il battesimo a cui siamo chiamati è luogo per aprire chi lo riceve alla Fonte nel nome del Padre. Ci indica il cammino da seguire come l’ha vissuto il Figlio. Tutto questo evidenzia l’energia di cui abbiamo bisogno per questa vita, per questo impresa inondata dallo Spirito. Ogni cammino è fatto, per questo, nel nome della Fonte, del Cammino e dell’Energia.

Noi così scettici dinnanzi alle parole, differenziamo l’esperienza del credo convinti come siamo che il credo sia un assenso mentale a dei postulati. Riuscire a riscoprire di nuovo la bellezza di dire a qualcuno “credo in te”, è credere a chi l’altro è, più che a quello che ci racconta e ci dice.

La fede non è una adesione intellettuale, ma adesione a una persona e presuppone di essere capaci di dono e di ricevimento. Così diventa fiducia, diventa battesimo, luogo di bella spiritualità che non è isolamento quanto invece avventura comunitaria e solidale.

Battezzarsi è dare esteriorità all’interiorità. La cosa pubblica non può essere, come noi spesso la viviamo, qualcosa di formalistico. L’interiorità si manifesta nella esteriorità come carne e storia. Battezzare è fare un passo in avanti tra la divisione che noi spesso viviamo tra la profondità e la forma esteriore. Riuscire a cogliere la bellezza che in fondo non c’è né un dentro né un fuori, ma vita armonica tra noi e la società, è cosa bella e buona, oltre che vera. Il battesimo ci segna in Cristo, la nostra vita diventa vita per il mondo.

Perché la missione affidataci sia possibile e possiamo esercitare i compiti affidatici dal Signore di curare, annunciare e battezzare è necessario camminare leggeri, non soffocati dalle cose che sembra dobbiamo portarci dietro e che diventano non tanto sicurezza di vita quanto motivo di divisione perché soggetti al latrocinio. Dobbiamo riscoprire la bellezza dell’essere pellegrini che vivono leggeri e poveri, senza nulla di superfluo. Credo che in fondo sia una chiamata a riscoprire di nuovo la bellezza della nudità lasciando ciò che appare bene, ma che troppo spesso vero non è. Essere leggeri è invito ad albergare alla Parola di Gesù non perché bravi o perfetti, quanto invece perché riconoscenti di ciò che è essenziale al nostro vivere.

Fidiamoci di quella Parola: è la nostra ancora, la nostra stampella, il nostro bastone di cammino, il nostro vincastro per essere pastori di noi stessi. Basta il nome di Gesù: su di Lui appoggiati avanziamo e riposiamo. Il suo nome è presenza. La sua presenza è salvezza, la sua salvezza dona unità di ricerca e di vita!

Saperti con me tutti i giorni fino alla fine mi dà la certezza che non diventerai mai un ricordo, ma sarai eterna presenza.

Così non ti amo con la paura di perderti, ma con la libertà di chi sa che ci sarai per sempre.

Saperti con me fino alla fine mi dice che non sentirò mai la tua mancanza, perché ci sei oggi e ci sarai domani.

 Santopaolo

Quando sappiamo di non conoscerlo e siamo in attesa di lui per poterlo conoscere, allora sappiamo realmente qualcosa di lui ed egli ci ha afferrati e conosciuti e ci possiede. Allora siamo credenti pur nella nostra incredulità ed egli ci accoglie nonostante la nostra separazione da lui.

Paul Tillich

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