8 gennaio 2023 Matteo 3, 13-17

Giovanni Nicoli | 8 Gennaio 2023

Matteo 3, 13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.

Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui.

Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

 

Che incrocio di sguardi l’incontro fra Gesù e il Battista. Che incrocio di amicizia. Che incrocio di stima. Un incrocio che culmina nel Padre che dice: tu sei mio figlio, di te mi compiaccio.

Non è un atteggiamento che noi riteniamo essenziale al nostro esistere il compiacerci dell’altro. Noi siamo avari di amore: aspettiamo che l’altro sia morto per fargli dono di un fiore, sia esso uno sguardo o un sorriso. Non riusciamo a fargli capire quanto abbiamo bisogno di lui e che gioia sia il fatto che lui esista.

In questa relazione lo sguardo è un miracolo: che gioia immergersi negli occhi dell’altro, nell’oceano interiore dei suoi occhi sapendo che il prossimo esiste come te stesso. Spesso parliamo non guardandoci negli occhi, o facendo altro in contemporanea, oppure parlando da un’altra stanza della casa. Adduciamo la scusa che abbiamo molto da fare, in realtà abbiamo paura dello sguardo dell’altro, non lo sosteniamo: abbiamo paura di noi stessi.

Forse il più grande dono che un’amicizia possa fare all’altro è il riconoscere che l’altro è amato, è dire all’altro: tu sei l’amato, tu sei il prediletto! Tu sei l’amato, in te mi sono compiaciuto. Non è facile dire questo all’altro, non è facile riuscire a comunicarlo, ma non è neppure facile ascoltare quella voce in un mondo pieno di altre voci che gridano: tu non sei buono; sei brutto; sei indegno; sei da disprezzare; non sei nessuno e non puoi dimostrare il contrario.

Queste voci negative dentro e fuori di noi sono così forti e così insistenti che è facile credere loro. Questa è la grande trappola, la trappola del rifiuto di noi stessi.

È vero, il successo, la popolarità, il potere sono una grande tentazione, ma la loro forza di seduzione deriva spesso dal fatto che sono parte di una più grande tentazione, quella del rifiuto di noi stessi. Quando infatti diamo ascolto alle voci che ci chiamano indegni e non amabili, allora il successo, la popolarità e il potere sono facilmente percepiti come soluzioni attraenti, ma la vera trappola è il rifiuto di noi stessi. Siamo chiamati alla guerra, siamo chiamati ad andare all’assalto. Non possiamo giocare in difesa, la miglior difesa è l’attacco: guerra contro la trappola che scatta come una tagliola ad ogni passo che facciamo: la trappola del rifiuto di noi stessi.

Fare questo significa avere il coraggio di cominciare a smettere di credere noi stessi o il nostro gruppo o la nostra associazione come il centro del mondo: è tempo di cominciare invece a vedere il centro del mondo in Dio e nel prossimo.

Fare questa guerra significa imparare a disarmarci, a disarmarci dalla auto distruttività del rifiuto di noi stessi, significa disarmarci dalla volontà di spuntarla, di giustificarmi a spese degli altri. Significa non essere più all’erta, gelosamente aggrappato alle mie ricchezze.             Riusciremo mai a credere che un fiore donato è essenziale alla vita più di molte altre discussioni?

A tutto questo ci porta l’accoglienza di Gesù il Dio-con-noi che si è fatto carne ed è nato in una grotta, è stato deposto in fasce in una mangiatoia. Oggi Gesù il Dio-con-noi, si incarna immergendosi nelle acque del Giordano che il Battista utilizzava per battezzare coloro che venivano da lui, e si fa battezzare divenendo nostro Fratello. Si immerge in quelle acque che il Battista utilizzava per battezzare con acqua perché noi potessimo essere battezzati in Spirito Santo e fuoco. Gesù si incarna nelle acque mettendosi in fila, come tutti i peccatori che andavano dal Battista, per divenire nostro Fratello.

È un secondo Natale che chiude il periodo natalizio: se nel Natale del 25 dicembre e nell’Epifania si è manifestato a noi il Figlio di Dio, nel Natale del Battesimo si manifesta a noi il Fratello. Colui che si fa uguale a noi anche nel chiedere perdono per essere solidale con noi fino in fondo.

Il Battista non capisce subito il significato del gesto di Gesù, per questo si ribella a che lui possa battezzarlo. Il Battista l’aveva indicato come il Veniente, come il Messia. Ma per quanto ne sapeva lui, il Messia non poteva e non doveva essere battezzato, perché il Messia sarebbe stato il vero battezzatore.

Ma Gesù insiste dicendo dobbiamo adempiere ogni giustizia. E la giustizia è questa: che Gesù da Figlio riconosciuto dal Padre, divenga nostro fratello. La sua Incarnazione raggiunge l’apice perché da ricco che era si è fatto povero. Si è spogliato assumendo la condizione di servo (che è anche figlio; in greco pais significa sia figlio che servo). Ed è divenuto simile agli uomini facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

Si mette in fila con i peccatori e si fa simile a noi: muore a se stesso per morire per noi sulla croce. Nel battesimo si fa fratello e ci porta tutti nella sfera Trinitaria. Si è fatto come noi per farci come Lui.

Il Padre dice di Lui: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Mentre dice questo per il Figlio il Padre (non si accorge?) viene obbligato dal gesto del Figlio a divenire Padre di tutti. Con il battesimo infatti Gesù si è fatto nostro fratello.

Il dono dello Spirito è la relazione instaurata saldata con il vincolo dell’amore della Trinità data dallo Spirito. È nato il vincolo della fedeltà di Dio che mette se stesso: sulla sua fedeltà e sul suo amore è basata la saldezza di questo vincolo.

Siamo figli: non è il figlio che pensa al padre e a mettere da parte per lui, ma è il padre e la madre che pensano ad allevare ed educare il figlio, e a renderlo sempre più indipendente. La forza della relazione è data dai genitori, non dai figli. Così è con Dio: la forza della relazione è data da Lui, dalla Trinità non dalle nostre capacità che dipendono totalmente da Lui.

Si conclude in tal modo la prima fase del periodo natalizio. La prima fase perché il Natale si prolunga nella Pasqua. La scena del Giordano richiama il Calvario: là si immergerà nella morte come qui nelle acque, là si squarcerà il velo del tempio come qui il cielo, là darà a tutti lo Spirito che qui riceve, là si rivolgerà al Padre che qui lo chiama, là sarà riconosciuto Figlio dal fratello più lontano e dal centurione pagano come qui dal Padre.

Il battesimo di Gesù è il seme che piantato in terra muore fino a fiorire nell’albero della croce. Il battesimo di Gesù è la porta di ingresso alla rivelazione cristiana, che ci introduce nella casa di Dio. Già qui Gesù scopre e svela la sua missione: dopo essere stato chiamato Figlio, diventa fratello.

Accettare che lui si battezzi con noi e noi ci battezziamo in lui, significa accettare di essere trasfigurati in lui. Il battesimo è la nostra nascita alla vita del Figlio.

…immergere,
sommergere.
Io sommerso in Dio
e Dio immerso in me;
io nella sua vita,
Lui nella mia vita.
Siamo intrisi di Dio,
dentro Dio come dentro
l’aria che respiriamo,
dentro la luce che bacia gli occhi;
immersi in una sorgente
che non verrà mai meno,
avvolti da una forza di genesi
che è Dio.
Ermes Maria Ronchi

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