6 Luglio 2024 Matteo 9, 14-17

Giovanni Nicoli | 6 Luglio 2024

Matteo 9, 14-17

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.
Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».

Digiunare significa astenersi dal cibo per mortificare il corpo, cibarsi meno della necessità del corpo. Il digiuno è una pratica che ci arriva dal mondo ebraico dove il digiuno era una forma ascetica per andare verso Dio, per convertirsi dai propri peccati e per ottenere il perdono di Dio. Questo il digiuno! Questo il digiuno che quasi sempre ci viene proposto anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre chiesa, dai nostri preti.

C’è però un aspetto non secondario che dobbiamo tenere presente per il nostro digiuno: lo Sposo. Finché lo Sposo è con noi non possiamo digiunare. Ma lo Sposo ci è stato tolto e allora possiamo e dobbiamo digiunare. Ma lo Sposo, ci ha detto che sarà sempre con noi, e allora non potremmo digiunare. La nostra vita cristiana si gioca tra una presenza assente e una assenza presente.

Cristo, dal quale non possiamo prescindere per ogni nostra scelta di vita, ci è stato tolto con la sua Crocifissione ma ci è stato ridonato con la sua Risurrezione; ci è stato tolto per lasciare spazio al Paraclito che doveva venire ma è venuto tramite il dono dello Spirito Santo; ci è stato tolto perché ora è il tempo della Chiesa, ma allo stesso tempo egli è con noi fino alla fine dei tempi.

Nelle nostre scelte di vita non possiamo prescindere dallo Sposo presente e tolto allo stesso tempo. A ben guardare la nostra vita è già un vivere con lui e senza di lui allo stesso tempo. Ogni giorno noi desideriamo vivere la sequela di lui ma non ci riusciamo; ogni giorno desideriamo che lui sia in cima ai nostri pensieri ma poi siamo travolti dalle nostre preoccupazioni; ogni giorno noi lasciamo cadere il seme della Parola nel nostro cuore che spesso viene soffocato dalla nostra chiusura al bene; ogni giorno noi coltiviamo il nostro terreno perché il seme caduto in terra buona possa portare il suo frutto.

Digiunare per noi non può essere cercare un tentativo di conciliare la Vita Nuova con quella vecchia; non può essere un goffo tentativo di salvare capra e cavoli. Noi siamo chiamati a sposare la Vita Nuova, lo Sposo, il Cristo che è fonte di vita per ognuno di noi, che è vino nuovo che travolge ogni ostacolo.

Digiunare per noi è una battaglia tra la presenza in noi del Cristo e la sua assenza. Siamo chiamati a portare in noi il Cristo risorto e per questo non possiamo digiunare. Ma allo stesso tempo spesso le nostre paure, preoccupazioni e pensieri ci portano a mettere il Cristo in un angolino, e per questo dobbiamo digiunare. Dobbiamo digiunare dalle nostre preoccupazioni per occuparci del mondo con lo Sposo; dobbiamo digiunare dalle nostre paure per essere creatori del mondo con il Dio della Vita; dobbiamo digiunare dai nostri facili entusiasmi per lavorare per a creare dentro di noi una disponibilità di cuore che lasci entrare in noi il fiume di Acqua Viva che sgorga dal Costato Trafitto del Cristo. Questo dunque significa per noi digiunare. Non possiamo digiunare alla vecchia maniera facendo finta che il Cristo non sia con noi; e non possiamo non digiunare facendo finta che noi siamo sempre accoglienti nei confronti del Cristo.

Il digiuno non è dunque un’alchimia di cose a cui dobbiamo rinunciare in modo farisaico: guai a voi se fate questo, ci dice il Cristo. Non è una cosa da sbandierare il digiuno. Il digiuno è delicatezza e dolcezza; sono lacrime per l’Assente a causa della chiusura del nostro cuore; sono carezze e baci verso l’Amato per invitarlo a ritornare nel nostro cuore troppo spesso chiuso alla sua presenza.

Il digiuno ancora non è una testa d’ariete per sfondare il portone della misericordia di Dio: quel portone è già stato aperto e spalancato dall’amore di Cristo per noi! Il digiuno o è la conseguenza di un amore che Cristo ci ha donato e ci ha meritato, oppure non è, è solo fariseismo.

Il digiuno o nasce da un cuore innamorato che piange i propri tradimenti per l’amato ed esprime il suo desiderio dell’Assente, oppure è senza senso. Il digiuno è un grido di responsabilità per desiderare ancora una volta l’amore e la misericordia di Dio, non è un gesto di merito. È un riconoscere ancora una volta le nostre chiusure e peccati, e desiderare l’abbraccio benedicente del Padre che per l’ennesima volta esce dalla sua casa in festa per il figlio ritrovato, a pregarci di entrare a fare festa.

Il centro del digiuno non siamo noi con le nostre piccolezze ma è la grandezza dell’amore di Dio che ci provoca ancora una volta ad accoglierlo come dono. È un atto di coscienza e di responsabilità nei confronti della nostra vita a partire dal sentirci amati e dall’essere innamorati.

La vita nuova che Gesù ci ha portato non è un aggiustamento di quella vecchia: finalmente sotto il sole c’è qualche cosa di nuovo: il vino nuovo, lo Spirito promesso dai profeti.

La Chiesa non digiuna: fatta di peccatori, fa eucaristia per il dono del perdono di cui perennemente vive e gioisce. Il Signore, infatti, che mangia con tutti, peccatori convinti o meno, è il riposo di Dio nella sua creazione e della creazione nel suo Dio.

 
 

L’unico digiuno ammesso dal vangelo diventa quello che si può – anzi, si deve – mettere in atto a partire dal desiderio di attendere con profondità e sincerità la gioia dell’incontro con colui che verrà di nuovo allo stesso modo con cui è già venuto.

Pasolini

Se vuoi ricevere quotidianamente la meditazione del Vangelo del giorno
ISCRIVITI QUI

Guarda le meditazioni degli ultimi giorni

 

[/db_pb_portfolio]

8 Ottobre 2024 Luca 10, 38-42

Io sono Marta, io sono Maria; dentro di me le due sorelle si tengono per mano; battono i loro due cuori: il cuore dell’ascolto e il cuore del servizio.

Ermes Ronchi

L’ascolto che ci porta alla verità dell’altro, a conoscerlo e ad

accoglierlo, non nasce dai suoi dati personali, dalla sua carta di identità, dal suo

codice fiscale, dalla sua tessera sanitaria. L’ascolto che ci porta alla verità dell’altro

nasce dall’amore per l’altro. Ospitandolo e accogliendolo con cuore aperto e senza

giudizio, lo posso conoscere veramente, lo posso ascoltare nella sua totalità, lo

posso incontrare.

PG

7 Ottobre 2024 Luca 10, 25-37

“Il prossimo non esiste già. Prossimo si diventa. Prossimo non è colui che ha già con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso nell’atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima”.

Carlo Maria Martini

“Non è la molteplicità umana che crea la socialità, ma è questa relazione strana che inizia nel dolore in cui faccio appello all’altro, e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro che non mi è indifferente. È la compassione… Soffrire non ha senso, ma la sofferenza per ridurre la sofferenza dell’altro è la sola giustificazione della sofferenza, è la mia più grande dignità… La compassione, cioè soffrire con l’altro è la cosa che ha più senso nell’ordine del mondo”.

Emmanuel Levinas

6 Ottobre 2024 Marco 10, 2-16

“Due sposi, nel giorno del matrimonio, non dovrebbero promettere di stare insieme per sempre, ma di tenere per sempre vivo l’amore: è questo che consente loro di crescere”.

G. Borsato

Dite: è faticoso frequentare i bambini.

Avete ragione.

Poi aggiungete:

perché bisogna mettersi al loro livello,

abbassarsi, inclinarsi,

curvarsi, farsi piccoli.

Ora avete torto.

Non è questo che più stanca.

E’ piuttosto il fatto di essere obbligati

ad innalzarsi fino all’altezza

dei loro sentimenti.

Tirarsi, allungarsi,

alzarsi sulla punta dei piedi.

Per non ferirli.

Janusz Korczak

Share This