Stiamo vivendo un tempo non facile su come intendere e agire sulla persona,
connotato dal rischio di manipolarla e di staccarla dalla sua fonte trascendente.
La persona è il fiore all’occhiello del Creatore (Gn 1,31). L’ha formata a sua immagine e somiglianza (Gn 1,26), l’ha animata con il suo alito di vita (Gn 2,7) e l’ha posta al centro del creato che ha affidato alla sua custodia (Gn 2,15).
Le riconosciamo una dignità molto grande, da cui ne consegue il massimo rispetto, che si estende dall’inizio alla fine della sua avventura terrena. Non ci deve essere discriminazione tra persona sana o toccata dalla fragilità, perché godono della stessa dignità fontale. A ciascuna va il nostro rispetto, amore e sostegno. Verso tutte favoriamo uno sviluppo integrale e armonico.
Contenzioso problematico
Se togliamo il riferimento a Dio, si crea un contenzioso su come definire la persona e, di conseguenza, sul concetto di antropologia. L’orizzonte trascendente, dal secolo 18° è contestato e limitato alla sola immanenza: l’uomo sarebbe un’espressione della natura, seppur la più evoluta. Da qui la possibilità di intervenire su di esso per finalità ritenute necessarie o opportune, anche se scavalcano i confini della bioetica.
Ogni epoca storica ha vissuto la tentazione dello sconfinamento, in nome di giustificazioni varie, riconducibili a visioni filosofiche, scientifiche, efficientiste, relativiste. Da qui il ricorso all’interruzione della gravidanza, alla manipolazione genetica, all’eutanasia, all’utero in affitto, al gender…
Gli estremi si toccano
Nascita e morte sono i riferimenti sensibili della contesa, i più intrisi di fragilità e di precarietà, su cui è più facile giustificare interventi discriminatori e arbitrari. Tutto è conseguenza del modo di intendere il concetto di identità della persona. Oggi si mira a imporre la visuale del “soggetto autonomo, in grado di valutare, di decidere, di relazionarsi”. Chi non ha raggiunto questi livelli, o li ha perduti, è una persona in fieri o al tramonto. Ponendo in primo piano l’ambito dell’autonomia, della libera scelta e della decisione responsabile, si giustifica la possibile esclusione, con conseguente eliminazione, soprattutto dei nascituri indesiderati, dei malati terminali, degli anziani non autosufficienti. Da qui la spinta a fare scelte legislative che giustifichino questo impianto ideologico.
Questa impostazione antropologica si fonda sui principi del relativismo e del soggettivismo. Si è di fronte a una partita decisiva sul modo di intendere la natura umana e, di conseguenza, di agire nei confronti della persona.
Mentalità dello scarto
Papa Francesco ha puntato il dito sull’estendersi della mentalità dello scarto. Essa va oltre l’inizio e il fine vita, e abbraccia tutto ciò che non corrisponde all’efficienza. Ne consegue un certo modo di guardare alla malattia, soprattutto se fortemente invalidante, ai più deboli, ai più sfortunati della vita.
Termini come “libera scelta”, “eugenismo”, “consenso informato”, “patti formali sulla vita” sono entrati nel vocabolario e in molte legislazioni. Si comprende come al primo posto stia l’interesse individuale su quello collettivo, la poca attenzione per l’altro. Tutto è giocato sul proprio benessere personale, sul proprio tornaconto.
La storia insegna
L’attuale sensibilità che mira a imporsi ci rimanda ad un “sentire pagano”, in cui i rapporti di forza insiti nella natura vanno recuperati e applicati anche alle persone. Non lo si dice apertamente, ma si porta a creare mentalità che si apre a questa concezione della vita: la legge del più forte, la selezione naturale o selettiva.
Etty Illesum, tra le tante forme disumane compiute dal nazionalsocialismo hitleriano, racconta anche questo episodio che riguarda anziani relegati al campo di Westerbork, in vista della deportazione nei lager: «Ero accorsa all’ingresso del campo mentre autocarri malconci li scaricavano (i lavoratori inviati) sulla nostra brughiera: tanti vecchietti. Ed eccoli là, a bocca aperta. Ci sembrava che ora si stesse davvero esagerando un po’. Ma passato un certo tempo già la sapevamo lunga, e a ogni arrivo ci chiedevamo: “E allora – ci sono stati molti anziani e invalidi, questa volta?”. Ahimè, questo pezzetto di storia dell’umanità è talmente triste e vergognoso che non si sa come parlarne. Ci si vergogna di essere stati presenti senza averlo potuto impedire. C’era una vecchietta che aveva dimenticato gli occhiali e il flacone della medicina sul caminetto “di casa”: chissà se ora avrebbe potuto averli, e dove si trovava di preciso, e dove sarebbe poi andata? Una donna di ottantasette anni si era aggrappata alla mia mano come se non volesse più lasciarmi andare: raccontava che i gradini davanti alla porta della sua casetta avevano sempre brillato, e che mai nella sua vita le era successo di buttare i propri vestiti sotto il letto quando andava a dormire. E quel piccolo signore curvo di settantanove anni: era sposato da cinquantadue, ora sua moglie era ricoverata all’ospedale di Utrecht e l’indomani lui sarebbe stato portato via dall’Olanda… Ma se continuassi per pagine e pagine, non avreste un’idea di quel ciabattare, barcollare e cadere a terra, del disperato bisogno di aiuto e delle domande infantili. Là non si poteva far molto con le parole, a volte una mano sulla spalla era già troppo pesante. No, quegli anziani sono un capitolo a sé. I loro gesti smarriti e i loro visi spenti popolano ancora le notti insonni di molte persone…».
Confermati dalla Parola
Siamo chiamati a riscoprire la Parola del Signore, il progetto che contiene sull’uomo, il nostro impegno di averlo quale chiaro punto di riferimento. Siamo riportati alla rivelazione sulla vera identità della persona quale creatura di Dio, con impressa l’immagine divina e con il soffio vitale che la anima.
La vogliamo ricollocare al centro del creato, non quale sfidante di Dio per estrometterlo, bensì quale creatura in collaborazione con lui all’interno della creazione. Più ne scopriamo la dignità, più la accosteremo con rispetto e ci sentiremo in un movimento solidale nel costruire una convivenza umana ricca di valori e aperta alla dimensione trascendente.
Non mireremo a creare fratture tra cielo e terra, ma sintonia, e legami di amore e di fraternità in Cristo che ha portato nel mondo la presenza stessa di Dio. Grazie alla sua vita donata, continuiamo a sviluppare nel tempo la dinamica del dono e del bene insiti in ogni singola persona e finalizzati ad ogni singolo individuo.