Quelimane quotidiana

da | 20 Maggio 2022 | Racconti dalle missioni

Quelimane quotidiana

di padre Aldo Marchesini

Torno a casa dall’ospedale abbastanza presto, verso le tre del pomeriggio. È un po’ tardi se si vuole, ma in compenso ho pranzato nella coppa del blocco operatorio. Oggi c’era una “minestra di legumi”, che è un nome generico, usato anche quando non ci sono legumi. Lo si dà a tutte le minestre in cui non ci sono fagioli, ma un fondo di varie verdure più o meno amalgamate e triturate. È una minestra pastosa, non brodosa, che, di fatto, non è un gran che, specie quando non è ben calda. Tuttavia gode di un gran prestigio tra i lavoratori del blocco operatorio. Io, più di un terzo non riesco a mangiarne, e offro i due terzi sempre come un dono molto gradito a chi è al punto giusto per poterla mangiare. La pietanza, invece, era proprio buona, riso bianco più una tigella di fagioli caldi e saporiti, impreziositi da foglie di cavolo ed altre verdure con un “molho” a base di fagioli borlotti, cotti al punto giusto con un po’ di cipolla e aglio.

In casa mi sta aspettando il tecnico Antonio, per accompagnarmi a visitare una paziente in condizioni preoccupanti, “con la pancia molto grossa e le gambe gonfie”. Mi chiedo cosa potrà essere e, immaginando una causa di insufficienza cardiaca, prendo con me lo stetoscopio e l’apparecchio automatico della pressione. “La paziente vive dentro la città, abbastanza vicino alla Sagrada, nel quartiere Brandão. Arriviamo in dieci minuti, dottore.”, dice il tecnico Antonio. Il quartiere Brandão inizia con una strada di mercato, con andirivieni in tutte le direzioni e macchine che tentano di procedere con estrema prudenza in mezzo a quella confusione. Dopo tre o quattrocento metri cominciano tre vie sterrate che si infilano tra palme da cocco e capanne. Il fondo è di terra con avvallamenti continui, a volte nella direzione del cammino, a volte in senso trasversale. L’abitazione a cui siamo diretti ha un’entrata accogliente, con una piccola spianata e poi si devia verso la parte più privata dell’abitazione, con verande più lunghe e chiuse fino all’altezza dei fianchi. Girato l’angolo ci attende una specie di sorpresa architettonica: una stanza di circa tre metri di lato e tre di altezza: un elegante cubo dalle pareti completamente costituite da stuoie nuove, di un giallo brillante, che danno l‘impressione di un salotto destinato alle visite, eretta, o meglio, appoggiata su uno spiazzo tra le capanne. La nostra malata vi passa la maggior parte del giorno, perché è un luogo fresco e luminoso. La signora sta seduta con le gambe distese su stuoie, appoggiata con la schiena contro la parete del salotto. Il marito ci mostra alcuni fogli, ricevuti nei quattro giorni passati nell’ospedale centrale di Quelimane, dopo i quali l’hanno rimandata a casa, perché stazionaria. Tra i fogli trovo la relazione dell’ecografia che descrive la presenza di una grande ascite e di alcune masse nel contesto del fegato, dal significato di tumore maligno. L’addome è molto voluminoso e le gambe sono gonfie. Riferisce che le hanno fatto una paracentesi ed hanno tolto tre litri di liquido, ed ora respira meglio. Ormai la diagnosi è fatta, come pure una prima terapia palliativa. Mi pare che non sia il caso di farla distendere per esaminare l’addome. Restiamo a parlare ed io spiego con parole semplici la dolorosa verità, ma senza drammatizzare. Le chiedo come va con i dolori. Ci sono, ma ancora sopportabili e non continui. Può andare ancora avanti con l’aiuto del paracetamolo. Non posso fare gran che, per la malata ed i familiari. Tuttavia sono ora informati della reale condizione della malattia e ne sono grati. Quante volte ho constatato che lo spiegare la verità della malattia è forse l’aiuto più desiderato, perché libera dall’angoscia che l’incomprensibile porta sempre con sé per lo spirito umano. Salutiamo la malata, il marito e i familiari e ritorniamo a casa, riattraversando la confusione del mercato del Brandão. Arrivati a casa, alla Sagrada Família, saluto il tecnico Antonio e gli dico che l’indomani suo suocero sarà dimesso dall’ospedale, dove l’ho operato per due fistole perianali. Come sarà possibile fare per portarlo a casa? Combiniamo che verrà in bicicletta, ad aspettarmi in casa per quando tornerò dall’ospedale. Poi andremo a prenderlo con la mia macchina per portarlo fino alla casa del tecnico Antonio. Il suocero vive a Marrongane, di là da un piccolo fiume che bisogna attraversare in barca. È necessario perciò che si fermi alcuni giorni in casa sua. È un po’ imbarazzato. “Ormai ho finito il mio salario, perché ogni mese devo restituire mille meticais per pagare il prestito avuto per ricomprare la bicicletta che mi hanno rubata, del valore di seimila meticais. In casa c’è rimasta solo la farina. Devo comprare pesce e fagioli, ed ora avrò ospite anche il mio suocero. Chiedo al dottore un aiuto, per favore. Per lo meno 500 meticais. Sono molto alle strette. Se potesse prepararli per domani, le sarei molto grato!” (Quelimane 10/11/2020)

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