Troviamo modalità nuove e generative di stare insieme, per ricostruire i legami e con essi la speranza.
Solo così, questo “adesso” diventerà occasione per ripartire.
Adesso è forse il tempo della cura.
Dell’aver cura di noi,
di dire noi. (…)
Chi siamo noi, ti chiedo, umane e umani?
Perché pensiamo d’essere meglio di tutti gli altri?
Senza api o lombrichi la vita non si tiene
ma senza noi, adesso lo sappiamo, tutto procede. (…)
Chi siamo noi ti chiedo ancora.
Intelligenze, sì, pensiero, quelli con le parole.
Ma non vedi come non promettiamo durata?
Come da soli ci spingiamo fuori dalla vita.
Come logoriamo lo splendore di questo tiepido luogo,
infettando tutto e intanto confliggiamo fra di noi.
Consideriamo il dolore degli altri e delle altre specie.
E la disarmonia che quasi ovunque portiamo.
Forse imparare dall’humus l’umiltà.
Non è un inchino.
È sentirsi terra sulla nobile terra impastati di lei.
Di lei devoti ardenti innamorati.
Dovremmo innamorarci, credo. Sì.
Di ciò che è vivo intorno.
E in primo luogo vederlo.
Non esser concentrati solo su noi. (…)
Impariamo dal fiore, dall’albero piantato, da chi vola.
Hanno una grazia che noi dimentichiamo.
Cura d’ogni cosa, non solo dell’umano.
Tutto ci tiene in vita.
Tutto fa di noi quello che siamo.
(“Adesso”, Mariangela Gualtieri)
A distanza di un anno dal discorso pronunciato da Papa Francesco nella deserta piazza S. Pietro, sento risuonare ancora molto forti nelle orecchie, nella mente e nel cuore le sue parole:
“Mai come in questa circostanza abbiamo potuto renderci conto di essere davvero tutti “connessi”, accomunati dalla sofferenza, da un destino comune, dall’incertezza”.
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme… nessuno si salva da solo!”
Più di un anno è trascorso e sebbene siano comparsi i vaccini, non è ancora possibile determinare la fine della pandemia e il Covid 19 continua a catalizzare le nostre vite, nei pensieri, nei gesti, nelle emozioni quotidiane.
Tutti quanti speriamo che il virus scompaia al più presto, eppure non possiamo semplicemente stare fermi ed aspettare che tutto passi: il Papa già un anno fa ci ha invitati a metterci in movimento, a vivere la connessione con gli altri, a riscoprire l’universalità della nostra condizione umana che, se da una parte ci ricorda che non siamo onnipotenti, dall’altra ci rammenta che nemmeno siamo impotenti.
Siamo “tutti chiamati a remare insieme”, a vivere questo tempo non in modo individuale, ma a sentirci parte di un tutto, vivendo esperienze di condivisione e di reciprocità, risvegliando la parola “NOI”, quale invito alla comunione, alla prossimità, alla solidarietà.
Si tratta di trovare modalità nuove e generative di stare insieme, per ricostruire i legami e con essi la speranza. Solo così, la crisi che stiamo vivendo, questo “adesso”, diventerà occasione per ripartire.
“RiparTiamo” – E’ questo il titolo che abbiamo dato all’incontro on-line di metà marzo, lasciandoci illuminare dal faro del prendersi cura, concretizzando parte del percorso della due giorni in due parole dalla stessa radice linguistica: riparare e dare riparo.
Prenderci cura gli uni degli altri non è un semplice atto di riparazione: non si tratta solo di rimettere insieme i pezzi di quanto è andato i frantumi nelle nostre vite a causa della paura, della solitudine, dell’isolamento, della difficoltà ad accettare e vivere il “qui ed ora” che caratterizza il nostro presente, talvolta anche nella drammaticità, ma anche di dare riparo e rifugio alla sofferenza di chi ci sta attorno, mettendo al centro la relazione e giocandoci in accoglienza, delicatezza, compassione, ascolto, pazienza.
Ci sono molti modi per vivere il prendersi cura, per uscire dal torpore che ci rinchiude non solo in casa, ma anche in noi stessi, così come ci testimonia Anita, new entry del nostro gruppo:
Se penso alle innumerevoli volte che abbiamo sentito usare o usato la parola “ripartiamo”, specialmente in questo difficile momento della nostra vita, ho la sensazione che il suo significato sia quasi contraddittorio. E’ un desiderio di ripartire che poi ci riporta indietro: quasi incoraggiante, ma subito dopo disilludente.
Quando però ho ricevuto l’invito all’incontro di metà marzo intitolato -RiparTiamo- scritto così, con questa T in carattere maiuscolo, che spezza il termine in due significati, l’ho percepito come un senso nuovo, completamente diverso. Come se il Signore ci indicasse con esso una nuova strada: riparti da qui, io Tiamo e sono con te. La parola prende così la forma di un tutt’uno con Lui, al nostro fianco sempre, e prende la forma proprio di un ripartire con amore, ogni nuovo giorno.
RiparTiamo con Lui e, come ho percepito a mio modo da ciò che ha detto Padre Gianni, trascendiamo nel quotidiano.
Anzichè affannarci nella ricerca della pura spiritualità, che spesso non riusciamo a raggiungere e magari ci lascia scoraggiati, cerchiamola nelle piccole cose che sappiamo fare.
RiparTiamo da esse, con Lui che si è incarnato in noi. Diamo valore ad ogni piccolo gesto, accompagnandolo con consapevole amore. Sia esso, azione, parola, ascolto, sguardo e sarà proprio questa amorevolezza ad essere accolta e condivisa, respirata.
Sarà così che i doni dei quali il Signore tanto amorevolmente ci ha muniti prenderanno una forma più percepibile al prossimo e più condivisibile.
Così in questa forma, riparTiamo, ed affrontiamo con Lui le difficoltà, con la certezza che insieme a lui potremmo diventare piccola luce, nel quale Lui potrà risplendere ed illuminare.
RiparTiamo quindi, ogni giorno senza guardare indietro, senza sprecare tempo nel farlo, lasciamo su questa T (che sembra pure una croce) tutte le nostre ombre, accettiamole con amore compassionevole, perché Lui con amore ci ha liberato e ci libera sempre e mai dimentica di fidarsi di noi, suoi figli prediletti.
Anita Dapor, Bolzano
“Adesso è forse il tempo della cura. Dell’aver cura di noi, di dire noi”.
Buona Ri-partenza a tutti!
Alessandra