Siamo chiamati ad una conversione dello sguardo che porti ad un nuovo incontro con la terra e con l’immagine di Dio.
“Avere il coraggio di vivere
nel segno della madre,
nel segno del cerchio e non della retta
nel segno della mano che accoglie
della presenza che non tradisce,
delle curve naturali,
dei seni della terra,
nel miracolo del latte che goccia
come luce incantata,
del mistero che abita
le nostre vite
come i pesci popolano
gli abissi del mare,
nel volto rotondo
della quiete della terra
nelle pacifiche
rotazioni delle stelle
nel segno di ciò che è durata
e fermento d’amore
con inciso sulla mano
il dorso del cuore”
(Gianluigi Gherzi)
“Ritorno alla terra”
Il titolo scelto per l’incontro del’8 maggio poteva far supporre che ci saremmo trovati a riflettere sul tema della morte; invece è di vita che abbiamo discorso a lungo! Che poi, a ben vedere, vita e morte non sono forse due facce di una stessa medaglia?
Padre Giovanni Nicoli ci ha nuovamente stupiti, introducendo il pomeriggio con una lettura tutta nuova della Parabola del Padre Misericordioso. Facendoci immedesimare nel minore dei due figli, che lascia la casa del padre, sperpera l’eredità con una vita dissoluta e rischia di morire di fame, ci ha portato a ragionare su come l’uomo si sia separato dal resto della Natura, dimenticando di essere vivo solo “perché parte viva e vibrante di un mondo che è incarnazione di Dio”.
Abbiamo dimenticato che siamo “Adam”, ovvero figli e figlie della terra e sulla base dell’idea tecnocratica, che sostiene la crescita infinita e illimitata, abbiamo trattato il mondo come risorsa da sfruttare e consumare senza sosta, provocando conseguenze catastrofiche, i cui effetti distruttivi sono quotidianamente sotto i nostri occhi.
Allo stato dell’arte non ci resta che risvegliarci dal torpore e, come il figliol prodigo, “rientrare in noi stessi” e riconoscere che la Terra e l’umanità hanno la medesima origine e il medesimo destino: l’uomo non è solo e non può bastare a se stesso, ma è parte di una immensa vita, dono di Dio che ne è la Sorgente.
La chiamata è chiara: dobbiamo vivere come il figliol prodigo una conversione dello sguardo che porti ad un nuovo incontro con la terra e con l’immagine di Dio, che è “Madre di infinita tenerezza e Padre di illimitata bontà”.
Un Dio che ha tanto amato il mondo da abitarlo (“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi – Gv 1, 14) e ora ci chiede di essere suoi partner nel sostenere la salute della creazione.
Ma per farlo dobbiamo convertirci al bene che è in noi e lasciarci risvegliare da quella sete di meraviglia, di affidamento, di relazione, di condivisione, di benedizione e di dono.
Solo allora potremo passare dallo sfruttamento alla cura, in un dialogo con-creativo con il mondo, così come ci ricorda anche Maurizio nella sua testimonianza post-incontro …
Apre la riflessione la struggente musica di Morricone: sono le sonorità di una storia che racconta l’epopea western che tramonta e lascia il posto al nuovo, nella realtà del tempo che tutto involve, come una locomotiva tra gli affanni umani che non hanno tempo.
Sono proprio questi affanni che nascondono, fino a seppellire, quel pozzo incolmabile di sete che è la persona umana, sete d’amore, sete dell’altro; la frenesia del nostro vivere ci ha fatto dimenticare la cura per la terra che ci ospita.
Il ritorno alla terra ci riporta al ritorno del figliol prodigo, questo figlio, che rientra in se stesso, solo dopo aver sperperato ogni bene, è nella miseria che si rende conto della sua situazione e decide di tornare.
Lo smisurato amore del padre lo accoglie, tutto perdona e tutto rigenera, senza soppesare col bilancino il dare e l’avere, perché il suo è un amore a perdere.
Le scelte del pianeta industrializzato al quale apparteniamo ci portano a dilapidare i beni del Creato in una visione antropocentrica, maschilista e prevaricatrice. Questa, a volte, è una visione dominante anche nella stessa chiesa, che stenta a riconoscere il volto materno di Dio.
Dobbiamo passare dallo sfruttamento alla cura, abbandonare la propensione all’individualità che coltiviamo da generazioni per arrivare ad una con-creatività del mondo, riconoscendo che siamo gli ultimi arrivati sulla terra e il pianeta, che si è già liberato di altre specie, potrebbe un domani liberarsi anche di noi.
L’uomo è stato plasmato con la polvere del suolo, della ADaMah dice l’ebraico, (Gn2,7): Adam è figlio della Terra che è Madre Misericordiosa, con lei dobbiamo collaborare ed essere con-creatori di un mondo che è corpo di Dio e con il quale Dio è in continua relazione.
Attualmente l’umanità possiede una forza geofisica che è in grado di modificare l’armonia della Creazione, si deve scegliere tra lo sfruttamento incondizionato volto a produrre sempre di più, oppure intraprendere la via del rispetto della natura e del prossimo.
In questo momento di pandemia in cui sperimentiamo il nostro limite e la nostra impotenza, possiamo prendere coscienza dei nostri sbagli e tornare alla Madre Terra per prendercene cura.
Maurizio De Beni, Affi (VR)