Sono molti i passi evangelici che parlano degli sguardi di Gesù. Fanno capire che egli è un osservatore attento. Coglie il contesto, la situazione delle singole persone e di quanti lo attorniano.
Non sono sguardi di pura curiosità ma finalizzati a uno scopo. Ne segue sempre un insegnamento, una proposta, un’azione.
Gesù guarda negli occhi le persone che incontra ed entra nel loro profondo, al cuore, fino a coglierne le intenzioni e, sovente, a svelarle. Non lo fa per imporsi sull’interlocutore. I suoi sono sguardi di vicinanza, che attivano confidenza, perché manifestano premura, compassione, interesse per le persone e le situazioni che vede. Ha sguardi anche di positiva provocazione, mai di sottinteso rifiuto.
Troviamo sguardi che interpellano i discepoli.
Tutte le chiamate dei primi discepoli sono caratterizzate dal ‘vedere’ di Gesù, cui segue l’approccio, la proposta e la sequela: «Vide due fratelli… Venite dietro a me…e lo seguirono» (Mt 4,18-22). «Vide un pubblicano di nome Levi…seguimi!…egli, lasciato tutto, si alzò e lo seguì» (Mt 9,9). «Osservando che essi lo seguivano… Venite e vedrete» (Gv 1,38-39). «Fissando lo sguardo su Simone… sarai chiamato Cefa… …Visto Natanaele che gli veniva incontro… io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,42-48).
Lo sguardo trasmette sempre qualcosa della persona, spesso la forte carica della sua personalità e umanità. Gesù calamita con il suo sguardo, cui segue la parola.
Ci sono sguardi che attraggono le folle: «Vedendo le folle, Gesù salì sul monte» (Mt 5,1).
Al primo incontro con la gente, Gesù consegna la legge nuova, le Beatitudini. Non si limita ad esse, ma prolunga l’insegnamento che l’evangelista raccoglie in tre capitoli chiamati “il discorso sul monte” (Mt 5-7). Sguardo e parola si compenetrano: una folla attratta e attenta favorisce il contatto e la consegna di messaggi importanti, seppur non facili da vivere.
Ci sono folle in situazioni di precarietà, che Gesù incontra passando per città e villaggi. Gli portano il carico delle loro sofferenze quotidiane personali e familiari per avere guarigione. Gli evangelisti mettono in risalto la compassione che Gesù prova e la sua azione benefica: «Vedendo le folle, ne sentì compassione… e guarì ogni sorta di malattie e di infermità» (Mc 9,36).
Non rimanda a casa la folla che l’ha seguito per l’intera giornata. La vede stanca e affamata e compie il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 15,32-39).
Gli sguardi colgono soprattutto i bisogni, che sono molti e toccano il fisico e lo spirito.
Troviamo Gesù nella casa di Pietro, vede la suocera a letto con la febbre e la guarisce (Mt 8,14-15).
Vede il gesto di fede nelle persone che gli portano un paralitico, calandolo dal tetto della casa dove si trova attorniato da tantissima gente. Non solo lo guarisce nel corpo, ma anche nello spirito, manifestando così il suo potere divino (Lc 5,18-25).
Interviene anche in favore della donna che da dodici anni soffre per perdite di sangue, la incoraggia, ne coglie la fede e la guarisce (Mt 9,22). Lo stesso fa quando vede una donna ricurva (Lc 13,11-13).
Fa fermare il corteo funebre, quando vede una madre vedova che porta alla tomba l’unico figlio, È preso da grande compassione, la esorta a non piangere e le riconsegna il figlio riportato a vita (Lc 7,11-15).
Colpisce l’attenzione di Gesù verso i malati. Troviamo nel vangeli sintesi di giornate intense passate da Gesù ad alleviare il dolore di chi soffre.
Ci sono anche sguardi che provocano.
Il vedere di Gesù a volte diventa sguardo che scruta in profondità. Lo troviamo nei confronti dell’uomo che gli chiede come fare per avere la vita eterna. L’evangelista Marco mette in risalto l’intensità con cui Gesù lo guarda e il forte sentimento di affetto che prova, come pure la delusione di fronte al rifiuto del giovane di seguirlo: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò… “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”» (Mc 10,21-23).
Anche la guarigione dell’uomo dalla mano inaridita è preceduta da uno sguardo indagatore e provocatorio nei confronti di quanti lo stanno osservando per poi accusarlo: «E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: “Tendi la mano!”. Egli lo fece e la sua mano fu guarita» (Lc 6,6-10).
La sua provocazione giunge all’umanamente irrazionale, pur di far capire dove può giungere una fede che non dubita. Siamo all’episodio dell’albero di fichi, che Gesù vede senza frutti, maledice e fa seccare. Da qui lo stupore dei discepoli e l’insegnamento di Gesù: una fede non dubbiosa e una preghiera sorretta da fede autentica ottengono l’umanamente impossibile (Mc 11,12-14.20-24).
Anche dove vede la falsità, Gesù provoca in favore dell’autenticità. Osserva come la folla – Marco e Giovanni mettono in evidenza i ricchi – getta monete nel tesoro del tempio. «Tanti ricchi ne gettavano molte, una vedova povera vi gettò due monetine… Tutti hanno gettato parte del loro superfluo, lei vi ha gettato quanto aveva per vivere» (Mc 12,41-44).
Coglie anche la scelta dei primi posti a tavola, lo fa notare e ne trae un insegnamento: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,7-11).
Non mancano gli sguardi che incontrano i peccatori, che Gesù non ha mai escluso.
Incontra Levi seduto al banco delle imposte e gli propone addirittura di essere suo discepolo (Lc 5,27-28). Non solo, accetta anche il suo invito a un grande banchetto, presenti molti altri peccatori, sapendo di attirarsi le critiche degli scribi e farisei. Ad essi risponde che «non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano» (Mt 5,29-32).
Vede anche Zaccheo sull’albero. Non gli dice di cambiare vita, ma che desidera andare a casa sua. Zaccheo, capo dei pubblicani, non si sente giudicato, bensì accolto. È onorato e pieno di gioia nell’ospitare Gesù. La sua vita cambia ed egli restituisce quattro volte tanto di quanto ha rubato. Anche Gesù è contento perché «oggi per questa casa è venuta la salvezza» (Lc 19,1-10).
Ci sono due episodi in cui lo sguardo di Gesù è ravvicinato alla persona con incontra. Il primo è quello con Giuda nell’orto degli ulivi al momento dell’arresto (Lc 26,47-50). Giotto lo rappresenta in modo realistico: gli occhi ravvicinati, lo sguardo intenso, le bocche che quasi si toccano.
Il secondo è quello di Pietro dopo il suo rinnegamento. Non c’è lo sguardo diretto, ma il ricordo delle parole dette in precedenza da Gesù. Il canto del gallo diventa simbolicamente lo sguardo di Gesù che lo penetra in profondità e gli ricorda l’incoerenza.
La spiritualità si alimenta anche sugli sguardi di Gesù.
A questo punto, sorge la domanda: «Perché questa carrellata sugli sguardi di Gesù? Non si esaurisce in un elenco?». No, va ben oltre! Ci trasmette un aspetto fondamentale del vissuto di Gesù: il suo ‘cogliere’ l’esistente che lo circonda, rapportarlo a sé e trasmettere la ricchezza di emozioni sorte in lui. Gesù è ricco dentro, anche perché ha introiettato tutto ciò che ha visto. Il suo insegnamento, soprattutto le parabole, sono impregnati del mondo in cui Gesù è vissuto e ha visto: la casa, la strada, i campi, le vigne, i greggi, la gente, le consuetudini…
Il guardare, come il sentire, il toccare – la via dei sensi – sono le realtà che sviluppano il nostro mondo interiore, il nostro modo di relazionarci, di pensare…
L’insegnamento di Gesù ha il ‘sapore’ anche di ciò che ha veduto, di come ha veduto e lo ha elaborato.
Vivere la spiritualità cristiana, quindi, non può prescindere dal soffermarsi anche sugli sguardi di Gesù. Ne deriva l’entrare nella profondità del suo vissuto e del suo mistero. E questo avviene solo dopo un cammino di radicale cambiamento di prospettiva, che ci porta a ‘stare nella fede’ in Gesù.
Ci viene spontaneo chiederci: «Che cosa ha motivato Gesù nel suo peregrinare per la Palestina, nell’accostare le persone, nell’annunciare il Vangelo, nel posare il suo sguardo sulle situazioni più diversificate?». Una duplice passione: rafforzare la fede in Dio Padre e nel suo progetto di salvezza, e far nascere la fede nei suoi confronti.
Nel piano salvifico del Padre, lui si sente – e lo vuole comunicare – il Figlio amato, prediletto, in cui il Padre si compiace, mandato nel mondo quale suo Messia Salvatore, chiamato a dare la vita per amore di tutti. Vuole perciò suscitare la fede nella sua persona, perché egli – quale Figlio del Padre – veicola l’accesso al mistero di Dio.
Il primo messaggio che comunica all’inizio della sua predicazione – dopo l’esperienza nel deserto dove ha vinto le tentazioni di satana – è quello del cambiamento radicale della vita: la conversione (cfr. Mt 4,17). In che cosa consiste? Nel credere in lui inviato del Padre, quale suo missionario. Tutto focalizza nel suscitare questa adesione: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40). «Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,26).
La spiritualità si sviluppa dal cogliere anche gli sguardi di Gesù che abbracciano tutto e tutti e fa sentirsi ‘individuati’, amati. Da questo ne consegue una attrazione, un amore riconoscente, una fiducia che diventa abbandono nella fede.