Una rete di connessioni ci attraversa
e ci avvolge di messaggi parlati e sonori.
Di silenzio, non più familiare, abbiamo bisogno per ritrovare noi stessi.
A una proiezione del film Il grande silenzio, di cui la critica parlava bene per il successo avuto in Germania, la sala si è riempita. Dopo mezz’ora è iniziato un lento e costante esodo. L’assenza di parole e di musica, il solo scorrere delle immagini sulla quotidianità semplice, quasi irreale e ripetitiva della vita di un monastero certosino, avevano provocato disagio e l’abbandono della sala.
Il silenzio, quale filo conduttore, era risultato dirompente: noioso per chi l’ha colto come ostacolo, attraente per chi l’ha saputo interpretare come valore. Personalmente ho compreso la sua bellezza e, nel contempo, la sua provocazione. I monaci vi erano immersi, si lasciavano avvolgere, lo respiravano. Passavano le stagioni al suo ritmo. Si coglieva un senso di pace, di armonia. Il regista aveva ripreso la vita reale, di un intero anno, improntata su preghiera, lavoro, relazionalità silenziosa eppur comunicativa. Risaltava il valore dell’interiorità, della semplicità, della simbiosi con la natura.
C’era il silenzio
Questa ‘isola’ di mondo attuale – il film ritrae la vita odierna di un monastero – rapportata al ‘grande continente’ del vissuto della gente, ci porta a dire che il silenzio è un’eccezione. Oggi predomina il non silenzio.
Viviamo in un mondo iperconnesso, siamo attraversati da onde sonore dalle più disparate intensità. Riceviamo e inviamo continui messaggi in tempo reale, che ci mantengono in collegamento. Ci vengono offerti oggetti tecnologici che ci affascinano e ci consentono tutto. Eccetto il silenzio.
È scena ormai consueta vedere le persone incollate al cellulare, all’iphone. Sembrano immerse nel silenzio, invece sono nell’isolamento sonoro.
Bisogno di staccare
Non è problema di oggi trovarsi nel ritmo che il vissuto impone, anche se per noi è a livelli eccessivi. Da sempre la vita tende ad assorbire tempo ed energie nei molteplici impegni da assolvere. Certamente, nel passato, le persone erano meno sollecitate dalle tante ‘distrazioni’ compensative odierne. Tuttavia avevano imparato a ritagliarsi tempi e spazi per un recupero di interiorità. Proprio al mondo interiore rimanda il silenzio.
Gesù aveva parlato di “segreto” in cui ritirarsi soprattutto per pregare, perché «nel segreto è il Padre tuo» (Mt 6,6). Egli stesso ha dato l’esempio. I Vangeli raccontano come sovente Gesù ‘staccava la spina’ dopo giornate di intesa attività. Si ritirava, in disparte (Mc 9,2), in luoghi deserti (Mc 1,45; Gv 11,54), sul monte (Mt 15,29; Gv 6,15). Lo faceva a sera inoltrata oppure di mattino presto. La folla lo cercava in continuazione, ma egli non rinunciava a ritagliarsi un tempo per sè. A volte portava anche gli apostoli (Mc 6,31; Lc 10,11; Gv 6,3).
L’ultimo momento di solitudine e di preghiera l’ha vissuto la notte in cui fu tradito, nel giardino degli ulivi. Portò anche gli apostoli, li lasciò esortandoli a vegliare e pregare, e si ritirò più lontano da solo (Lc 22,41-42). È stato un breve tempo di intensa immersione nella preghiera al Padre e di tensione fino a sudare gocce di sangue (Lc 22,44). Così si è preparato al momento decisivo dell’esistenza.
Silenzio non vuoto
Il silenzio spaventa e attrae, nevrotizza e rilassa.
Da una parte, fa paura perché fa ritrovare con se stessi e provoca un senso di vuoto e di ansia. Lo vivono soprattutto i giovani, abituati a essere sempre collegati. Il periodo del lockdown l’ha dimostrato.
Nel contempo, il silenzio è ricercato. Mai come oggi, sono ambìti i luoghi dell’accoglienza che garantiscono un contesto per la riflessione. La tranquillità avvolge tutti i momenti della giornata, anche quelli dei pasti: una full immersion di interiorizzazione che tonifica l’animo e il corpo.
Le qualità del silenzio
Ma che cosa racchiude in sé il silenzio? Quali proprietà contiene?
Contiene una disposizione positiva ad ascoltare e ad accogliere.
Innanzitutto porta ad ascoltarsi in profondità: capire ciò che ci anima realmente, su quali fondamenta è radicata la nostra esistenza, quali sono i valori portanti del nostro vissuto, come stiamo costruendo la nostra vera identità. Il silenzio alza il velo e manifesta quello che siamo. Ci spinge a togliere ciò che è superfluo e a tenere l’essenziale. Ci fa crescere in consistenza. Impedisce di giocare la nostra vita sull’apparire inconsistente.
Il silenzio ci dispone ad ascoltare la parola di Dio. Ci fa capire la sua preziosità, i valori che contiene, la sua portata salvifica. Ci aiuta a non fermarci alla superficie, ma ad andare in profondità. Ci educa alla sua ‘ruminazione’: a lasciarla lavorare in noi grazie all’azione dello Spirito. Essa ci porta a dialogare con il Signore della vita, a porre sotto la sua protezione la nostra esistenza, a vederla in chiave vocazionale, a viverla come missione.
Il silenzio ci educa all’ascolto degli altri. Più che parlare, lasciamo che essi ci parlino. Diventiamo bacino dove far confluire il loro mondo. Permettiamo che si sviluppi il rapporto empatico. Facciamo spazio alla crescita di amicizia.
Il silenzio ci permette di allargare gli orizzonti e ci fa cogliere le problematiche del nostro tempo. Ci fa accorgere della complessità e ci matura alla sapienzialità. Ci porta a far diventare preghiera ciò che si presenta come notizia: riportiamo così a Dio le tante realtà buone e brutte del nostro mondo.
Scrive Etty Hillesum in una sua lettera: «Non è necessario parlare sempre, anche tacendo si può stabilire un contatto e dialogare».
L’angolo del silenzio
È suggestiva la proposta di creare nella nostra casa “l’angolo del silenzio”, un luogo riconosciuto e riconoscibile dove potersi raccogliere. Abbiamo bisogno anche di spazio silenzioso ‘casalingo’ dove poterci concentrare e far decantare in noi le risonanze del vissuto.
Questo ci educherà anche ad andare oltre l’angolo fisico del silenzio per innestarlo nel nostro intimo. Riusciremo così a ritrovarci in noi stessi anche dentro la rete dei tanti imput che ci avvolgono. E, nell’intimo di noi stessi, assaporare lo spazio di libertà interiore che scaturisce dalla capacità di silenzio conquistata. Il silenzio, accolto, è grazia.