L’adorazione eucaristica esprime la gratuità
dell’amore riconoscente per Cristo presente nel pane consacrato
nel quale continua la sua donazione al Padre e agli uomini.
Padre Dehon non ha fondato il suo Istituto per un’opera determinata, ma ha dato degli orientamenti apostolici che caratterizzano la sua missione nella Chiesa (Cst. 30). Nel presentarli pone al primo posto l’adorazione eucaristica che definisce «un autentico servizio della Chiesa» (Cst 31). Non la considera a sé stante ma «in strettissimo rapporto con la celebrazione dell’Eucaristia» (Cst 83), da cui consegue. Il pane consacrato, divenuto Cristo stesso, è lasciato a disposizione per l’incontro personale e comunitario nella preghiera silenziosa. «Nell’adorazione meditiamo le ricchezze di questo mistero della fede perché la carne e il sangue di Cristo, alimento di vita eterna, trasformino più profondamente la nostra vita» (Cst 83).
Presenza perenne
Il vangelo di Matteo si conclude con una frase di Gesù che infonde consolazione e rafforza la speranza: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). La dice nel momento in cui dà la consegna missionaria dell’evangelizzazione. I discepoli di Gesù non devono sentirsi abbandonati a se stessi, ma accompagnati dalla presenza invisibile di Cristo e sostenuti dalla forza interiore dello Spirito Santo.
L’Eucaristia celebrata e adorata diventa “segno privilegiato” della sua presenza, polo d’attrazione in cui rafforzare la propria fede e a cui attingere energia per la testimonianza.
Accanto alla celebrazione quotidiana della s. Messa, padre Dehon lascia come testamento spirituale anche il riferimento quotidiano all’adorazione: «Per stabilirvi in questa vita interiore consacrerete tutti i giorni una buona mezz’ora… per l’adorazione riparatrice» (Cst 79). Sottolinea anche la caratteristica del tempo trascorso davanti all’Eucaristia: momento di comunione intima con Cristo, non focalizzata unicamente su se stessi, ma in solidarietà e in comunione con gli uomini, per la riconciliazione di tutti in Dio (cf. Cst 83). Veniamo rimandati a Mosè che sta sul monte davanti a Dio e prega per il popolo che sta combattendo (cf. Es. 17,11-12). Dentro la lotta quotidiana in cui siamo tutti coinvolti, il momento dell’adorazione diventa lo stare davanti a Dio nell’atteggiamento di intercessione.
Incontro cercato
La pratica dell’adorazione eucaristica è entrata nel vissuto della Chiesa da secoli e ha coinvolto i cristiani in modo significativo non solo nel passato ma, nonostante la crisi di fede presente nel nostro occidente, anche oggi. In un contesto caratterizzato dall’affanno del fare, emerge sempre di più il bisogno di momenti di pausa, di silenzio, di meditazione, di preghiera. L’Eucaristia diventa «l’incontro desiderato e cercato». C’è la “Sua Presenza” che catalizza, diventa riferimento per la preghiera intima, per il dialogo assolutamente personale, per il racconto del proprio vissuto sereno e problematico e per presentare a Cristo le realtà in cui è coinvolto il vissuto proprio e altrui.
Certo, c’è il problema degli impegni che assorbono e rendono difficile lo stacco adorante. Guardando a molte figure significative nell’ambito ecclesiale, si nota come abbiano posto il momento eucaristico come indifferibile, nonostante l’agenda carica di impegni. La pausa adorante diventa l’appuntamento che rafforza la fede, motiva e sostiene nell’azione.
Ma anche i momenti brevi davanti al Santissimo, non istituzionalizzati, sono sempre segno di un amore che vuole rimanere vivo e consolidato.
Non ci sono schemi da seguire nel momento dell’adorazione, se non con gruppi organizzati. L’ideale è porsi in ascolto, consapevoli che Cristo parla al nostro intimo con l’azione del suo santo Spirito. Ancora prima di parlargli è necessario ascoltarlo, facendo risuonare gli input che vengono dal fissare l’eucaristia.
Deve poi seguire il lasciare fluire il vissuto, che diventa racconto di ciò che portiamo nel cuore: gioie e fatiche, speranze e preoccupazioni, fede e incertezze… , il tutto rapportato alla persona di Cristo, al suo vissuto evangelico lasciato scorrere in libertà e rivisitato con la risonanza del momento che stiamo vivendo.
Molto importante è anche il guardare contemplativo l’ostia consacrata. Non deve diventare, l’adorazione, tempo di lettura, se non per prendere lo spunto per la riflessione e la preghiera. Meglio perdersi nello sguardo di profonda intesa e consegna spirituale.
Ricordiamo tutti l’episodio del contadino di Ars che ogni giorno trascorreva un’ora in chiesa. Alla domanda del parroco – il santo curato d’Ars – che cosa dicesse a Gesù in quel lungo tempo, rispose: «Io lo guardo e Lui mi guarda». È lo sguardo che scaturisce dalla fede e dall’amore: sentirsi amati e confermare il proprio amore, cogliere il Suo messaggio e trasmettere il nostro, ricevere e ringraziare, rafforzarsi nell’adesione di fede per continuare nella risposta fedele dentro la quotidianità.
Incontro coltivato
Non sempre l’incontro eucaristico è come lo vorremmo. Spesso è attraversato dall’aridità, dalla consuetudine, dal senso di vuoto, dalla distrazione. Vanno accolti e offerti. Il fatto stesso di trovarsi presenti a Cristo anche negli stati d’animo meno favorevoli, è segno di amore riconoscente. L’amore sa stare anche nell’aridità. Importante che sia fedele, per cui va vissuto sempre e va coltivato.
L’adorazione eucaristica è conseguente alla celebrazione eucaristica: esprime la continuità della presenza di Cristo nella comunità credente. L’Eucaristia è il segno che rinnova la nuova alleanza realizzata da Cristo nel suo sangue. È per sua natura dono alla Chiesa che la perpetua nel tempo nel rito sacramentale e la propone all’adorazione nel tabernacolo.
Missione pubblica
L’adorazione eucaristica, in specifico, non va confinata nella pia pratica di pietà personale, ma considerata come una missione. Così l’ha indicata p. Dehon ai suoi religiosi: «Queste adorazioni saranno considerate come una missione pubblica, colma insieme di onore e di responsabilità; una missione che richiede, per essere ben compiuta, zelo, purità, fedeltà» (Dir. Spir. 132).
L’ha vista in forte sintonia con la devozione al Sacro Cuore che, specialmente al suo tempo, era rapportata strettamente all’adorazione eucaristica. Scrive: «La devozione al Sacro Cuore è soprattutto eucaristica. Dove cercare il Cuore di Gesù meglio che nell’Eucaristia?» (OSP III, 659). Lì si incontra la grande oblazione di Cristo al Padre per la salvezza del mondo e si attinge la forza per viverla personalmente.
Padre Dehon svolgeva una intensa attività apostolica, ma non mancava mai all’appuntamento eucaristico quotidiano. Ha scritto: «Noi avremo sempre delle opere, ma la principale occupazione sarà l’adorazione del santissimo Sacramento… Nessun lavoro può sostituire questo esercizio importante delle nostre regole. Chi non fa abitualmente l’adorazione, non lo ritengo mio figlio spirituale… Nella vita contemplativa noi formiamo una congregazione adoratrice» (CF III,59; AD,B; CF I,74). «Ogni opera che non affonda le proprie radici nella solitudine del tabernacolo, pur con il successo più brillante, somiglia al ricino di Giona: nasce già morto e nulla produrrà mai di soprannaturale» (OSP II, 438).
Padre Dehon conclude il suo testamento spirituale con il riferimento all’eucaristia adorata: «La mia ultima parola sarà per raccomandarvi ancora l’adorazione quotidiana, l’adorazione riparatrice ufficiale, in nome della santa Chiesa, per consolare nostro Signore e per affrettare il regno del Sacro Cuore nelle anime e delle nazioni» (DS 284).