Siamo parte costitutiva di questo mondo,
pienamente partecipi del suo vissuto,
ma, nel contempo protesi oltre.
La vera patria è in cielo.
Nel suo dipinto dell’Ascensione, Ramenghi G.B. (1585) ha scelto di rappresentare solamente la parte inferiore del corpo di Cristo. Si vedono gambe e piedi sollevati da terra, avvolti da un fulgore che richiamano la realtà celeste. Il corpo di Cristo sembra sfuggito al gruppo degli apostoli che guardano sorpresi il loro maestro elevarsi e sparire in alto. Dà l’idea di trovarsi tra terra e cielo: la parte superiore del corpo è già nel mondo divino, quella inferiore ancora dentro l’orizzonte della terra.
È originale l’intuizione dell’artista, in quanto si può cogliere, nel contempo, il ritorno di Cristo al Padre e il suo permanere tra gli uomini. Rimanda alle parole che riassumono la sua missione: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre» (Gv 16,28) e, allo stesso tempo, la rassicurazione ai discepoli di restare con loro «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Lo è tutt’ora tra noi nel sacramento dell’Eucaristia (1Cor 11,23-25), nelle persone più provate (Mt 25,40.45), nella presenza dello Spirito (Gv 16,13-15).
Attratti dal cielo
Da sempre il cielo attrae. La sua immensità popolata di stelle e di “altri mondi”, la maggior parte immersi nel mistero, fanno sognare realtà ultraterrene. Da quando l’uomo esiste si è lasciato rapire dall’universo. Oggi poi, con la tecnologia avanzata, scopre particolari sempre più affascinanti che aprono nuovi orizzonti e pongono ulteriori interrogativi.
Comprendiamo allora come anche i due passi evangelici che fanno riferimento al mondo ultraterreno abbiano affascinato chi li ha vissuti: la Trasfigurazione e l’Ascensione.
La Trasfigurazione di Gesù è avvenuta in un contesto teofanico di luce, splendore, collegamento con due profeti dei secoli passati ma in viva conversazione con Gesù, che porta Pietro ad esclamare: «Signore, è bello per noi restare qui». La voce dal cielo che rivela la vera identità di Gesù quale “Figlio prediletto” e l’invito ad ascoltarlo, incute timore ma rafforza il legame di fede in Gesù e nelle realtà soprannaturali (Mt 17,1-7).
Anche l’Ascensione di Gesù apre squarci di cielo. Con parole molto asciutte viene descritto un grande mistero: « (Gesù) fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo» (At 1,9-10). Pure qui vediamo il rapimento estatico degli apostoli che fissano il cielo mentre Gesù se ne va.
Il cielo richiama il mondo di Dio, del soprannaturale. Risveglia in noi un’attrazione naturale verso il mistero divino. Siamo costituzionalmente attirati da ciò che ‘sta in alto’, da ciò che va oltre il nostro sguardo e rimanda all’infinito misterioso. Questa attrazione va mantenuta, approfondita, illuminata, non svalorizzata, peggio ancora squalificata. È una risorsa preziosa che alimenta il nostro bisogno di eterno. Non lasciamoci rubare l’anelito al cielo.
Rimandati alla terra
Dopo le due esperienze ‘di cielo’, gli apostoli ritornano alla quotidianità. Continua la sequela di Cristo, ma dentro lo scorrere degli eventi. Dapprima con la sua presenza fisica e con la prospettiva della passione, morte e risurrezione; dopo con il sostegno della sola fede nel Cristo risorto.
Il ‘cielo’ non diventa alienazione, ma sostegno nella nostra fatica terrena e prospettiva che alimenta la speranza. È nel quotidiano che viviamo la nostra sequela e cresciamo in sintonia con il Vangelo. Così si accresce la nostra chiamata alla santità.
Il dipinto del Ramenghi mette in risalto i piedi di Gesù. Sono l’ultimo fermoimmagine che si imprime negli occhi degli apostoli e li rimanda a tutta la strada che Gesù ha percorso con loro e a tutti gli incontri avvenuti, ai discorsi fatti, agli insegnamenti appresi mentre camminavano insieme. Nello stesso tempo ricordano loro il cammino che li attende quali annunciatori del Vangelo, inviati dallo stesso Gesù: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura (Mc 16,15); «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi (Gv 20, 21); «Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Galilea e la Samaria e fino ai confini della terra (At 1,8).
Tra terra e cielo
Veniamo così a stabilire un giusto equilibrio tra presente e futuro, tra ciò che siamo e come saremo, tra terra e cielo. Questa è la nostra attuale condizione umana. L’immagine dei ‘piedi per terra e sguardo in alto’ esprime bene la nostra realtà di discepoli di Cristo. Non significa sentirci alienati dal vissuto comune, anzi molto partecipi, ma con una prospettiva ulteriore che ci mantiene aperti alle promesse divine di chi avrà conservato una fede fattiva.
Il testo attribuito al filosofo cristiano Diogneto descrive come i cristiani si pongono all’interno del vissuto umano, come mantengano un sano equilibrio tra immanenza e trascendenza, tra impegno nel mondo senza essere del mondo, alla luce dei valori in cui credono.
«I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. Questa dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano.
Risiedono poi in città sia greche che barbare, così come capita, e pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano e hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati. Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore. Quando fanno del bene vengono puniti come fossero malfattori; mentre sono puniti gioiscono come se si donasse loro la vita. I Giudei muovono a loro guerra come a gente straniera, e i pagani li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire la causa del loro odio.
… L’anima immortale risiede in un corpo mortale; anche i cristiani sono come dei pellegrini che viaggiano tra cose corruttibili, ma attendono l’incorruttibilità celeste. (Dall’Epistola a Diogneto).
Fin dall’inizio del cristianesimo, la vita porta a conciliare tutto alla luce dei valori del Vangelo. Esso non aliena dal vissuto, anzi immerge in esso e, nel contempo, proietta nella “vita del mondo che verrà”, come preghiamo nel Credo.
Don Bosco ripeteva: «Camminate con i piedi per terra e con il cuore abitate in cielo!».