L’anelito di Cristo è che l’amore di Dio sia riconosciuto in questo mondo
e che i suoi valori siano innestati nel vissuto delle persone e delle società.
La vita si gioca nella dinamica della relazionalità, anche la vita di fede. Non c’è vita nell’isolamento, come non c’è fede. Noi cristiani crediamo in Dio Trinità per questo motivo.
Crediamo che sia amore e, per sua natura, l’amore è diffusivo, si comunica. L’amore è anche concreto, visibile, per questo crediamo in Dio come persona: il Padre, il Figlio, lo Spirito, persone distinte ma unite “in uno” nella sostanza divina.
Regno di Dio, Valori, Dio,
L’espressione “venga il tuo regno” è inserita nella preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, il Padre nostro (Mt 6,9-13; Lc 11,2-4). È rivolta direttamente al Padre e tocca i punti essenziali che riguardano Dio stesso e la nostra vita. Ha la tonalità filiale per eccellenza: noi, figli nel Figlio, diciamo a Dio, nella libertà dello Spirito, quanto viene spontaneo esprimergli. Il “Padre nostro” rimane la preghiera madre che Gesù ci ha lasciato in eredità.
Il regno di Dio
Essa fa riferimento all’avvento del regno di Dio, tema caro a Gesù cui ha dedicato buona parte del suo insegnamento. Egli non ha mai dato una definizione del regno ma ha fatto capire che è una realtà fondamentale del vangelo che annuncia. L’ha sempre descritto con parabole nelle quali lo paragona a qualcosa di piccolo, che racchiude in sé una potente vitalità protesa a un grande sviluppo (seme, granello, lievito, rete), e ha un grande valore per cui vale la pena vendere tutto pur di averlo (tesoro, perla preziosa) (Mt 13,1-51).
Nella preghiera del “Padre nostro” Gesù esorta a chiedere al Padre dei cieli che questo regno si manifesti in questo mondo e si possa inserire nel vissuto degli uomini quale realtà di novità e di grande valore (Mt 6,10).
La realtà del Regno
Come intendere la realtà del regno racchiusa nelle immagini delle parabole? Gli apostoli, in sintonia con le aspettative del tempo, hanno sempre pensato che il messia sarebbe venuto per instaurare un nuovo ordine sociale liberando Israele dai dominatori stranieri, in specifico dai Romani. Hanno sempre rifiutato la prospettiva della morte ingloriosa del loro maestro. Pietro ha reagito duramente quando Gesù ne ha parlato la prima volta: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22). E dopo il secondo annuncio della passione, i discepoli «per strada avevano discusso tra loro chi fosse il più grande» (Mc 9,34). Anche Guida è giunto a tradire Gesù – spiegano molti esegeti – perché deluso dalle aspettative di una reale restaurazione in Israele.
La spinta a pensare a un «regno di Dio» con i connotati dei regni di questo mondo, ha sempre tentato la Chiesa lungo i secoli della sua storia. Solo nel XX secolo è stata tolta la tiara del triregno, per ritornare al significato vero in cui intenderlo e come esercitare la missione nel mondo.
Esso è costituito dall’innesto dei valori evangelici nel vissuto degli uomini. Nessuna potenza di mezzi, di territori, di sovranità…, ma la sola forza del vangelo portato tra la gente: «Strada facendo, predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8). Il testo continua indicando lo stile della gratuità, dell’essenzialità, della vicinanza, della parresìa, della centralità della parola evangelica annunciata (Mt 10, 9-14).
Presenti al vissuto delle persone
Verso la conclusione del suo ministero pubblico, in risposta alla domanda dei farisei sulla venuta del regno di Dio, Gesù ha detto: «Il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,20-21). Ne aveva definito i contorni con quanto andava dicendo e facendo. Lo identificava con la sua stessa missione vissuta in conformità al testo del profeta Isaia che aveva applicato a sé fin dal primo apparire in pubblico: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Esso stava prendendo fisionomia nel suo modo di “stare tra la gente”, nel suo spendersi in uno stile di servizio e di attenzione soprattutto agli ultimi. Il regno si manifesta nella sua stessa persona.
Uno stile da continuare nel tempo
Nel vissuto della Chiesa, l’invocazione “venga il tuo regno” è stata interpretata in due modalità complementari, anche se a volte antitetiche: nella dimensione mistica e in quella sociale, nell’invocazione orante e nell’azione che privilegia la promozione.
Padre Dehon le ha assunte ambedue con forte accentuazione alla concretezza della promozione sociale. Ha agito innanzitutto su di sé mirando ad assimilare il “sentire di Cristo”, a portare il suo cuore a battere in sintonia con quello di Cristo. Ha insistito molto, perciò, sulla formazione all’interiorità, all’oblatività, alla conformazione ai sentimenti di Cristo, all’orazione improntata alla dimensione riparatrice incentrata sull’eucaristia celebrata e adorata, all’attenzione al vissuto delle persone. Lo esprimono bene le nuove costituzioni: «Avidi dell’intimità col Signore, cerchiamo i segni della sua presenza nella vita degli uomini, dove opera il suo amore che salva. Condividendo le nostre gioie e le nostre pene, il Cristo si è identificato con i piccoli e con i poveri, ai quali annuncia la buona novella» (Cst 28).
Da quando ha scoperto la complessità del vissuto sociale e le molteplici situazioni di precarietà delle persone e delle famiglie, ha speso le sue energie in una azione sociale finalizzata alla formazione delle coscienze e al reale coinvolgimento nelle problematiche degli operai e degli ultimi. Parlare dell’avvento del regno di Dio significava sviluppare una maggiore consapevolezza al senso della giustizia, dei diritti e dei doveri sociali, del coinvolgimento anche della Chiesa nel portare il vangelo dentro le strutture del vissuto sociale. Desiderava che i contenuti dell’annuncio cristiano fossero non solo predicati ma testimoniati, che i preti uscissero dalle sacrestie e stessero tra la gente. Si lamentava che «questa generazione pusillanime ci ha cambiato il Cristo. Non era più il Cristo degli operai, il Cristo che esercitava il suo incessante apostolato presso i poveri, i pubblicani, gli uomini del mondo. Il leone di Giuda si è trasformato in una timida pecora. Nostro Signore, il cui apostolato forte e vigoroso ha ispirato quello di Paolo, dei Saverio e di tutti i conquistatori di anime, si è mutato in un uomo timoroso e debole che parla soltanto ai bambini e ai malati». Ritiene necessario perciò dare impulso all’agire che incida a livello di legislazione e sindacale. Il regno di Dio non può rimane qualcosa di evanescente, ma deve esprimersi in precise scelte ispirate ai principi cristiani che portino a una reale fraternità improntata alla giustizia e alla solidarietà.
Le costituzioni dehoniane, che riassumono la spiritualità e il carisma di p. Dehon, esprimono bene questa idealità nel modo di intendere il regno di Dio. «Alla sua sequela noi dobbiamo vivere in una solidarietà effettiva con gli uomini. Sensibili a quanto nel mondo attuale ostacola l’amore del Signore, attestiamo che lo sforzo umano, per arrivare alla pienezza del Regno, ha bisogno di essere continuamente purificato e trasfigurato dalla Croce e dalla risurrezione di Cristo» (Cst 29).
«Condividiamo queste aspirazioni dei nostri contemporanei, come possibile apertura all’avvento di un mondo più umano, anche se possono racchiudere il rischio di insuccesso e di degradazione. Nella fede, docili all’insegnamento della Chiesa, le riteniamo attinenti alla venuta del Regno che Dio ha promesso e realizzato nel suo Figlio» (Cst 37).
«Lungi dall’estraniarci dagli uomini, la nostra professione dei consigli evangelici ci rende maggiormente solidali con la loro vita. Nel nostro modo di essere e di agire, con la partecipazione alla costruzione della città terrestre e dell’edificazione del Corpo di Cristo, dobbiamo testimoniare efficacemente che il regno di Dio e la sua giustizia devono essere cercati prima di tutto e attraverso tutto» (Cst 38).
Padre Dehon è sempre riuscito a bilanciare la dimensione interiore a quella più operativa. La sua ottica di fede lo porta a stare dentro il vissuto umano e a dare un volto molto concreto alla sua azione apostolica che ha consegnato anche ai suoi religiosi. Egli parte dalla realtà del peccato che disgrega il tessuto sociale e vuole porre un rimedio con una intensa vita di fede e di azione che permetta al regno di Dio di manifestarsi: «Padre Dehon è molto sensibile al peccato che indebolisce la Chiesa, soprattutto da parte delle anime consacrate. Conosce i mali della società; ne ha studiato attentamente le cause, sul piano umano, personale e sociale. Ma egli ravvisa la causa più profonda di questa miseria umana nel rifiuto dell’amore di Cristo. Preso da questo amore misconosciuto, vuole darvi risposta con una unione intima al Cuore di Cristo, e con l’instaurazione del suo Regno nelle anime e nella società» (Cst 4).