Vi ho dato l’esempio

da | 19 Marzo 2021 | Spiritualità nel quotidiano

Ciò che maggiormente colpisce,
convince e smuove è l’esempio,
soprattutto di chi è in autorità.
Non bastano le parole,
abbiamo bisogno di vedere coerenza e concretezza.

La persona di Gesù affascina ancora oggi. Nessuno rimane indifferente di fronte a lui: è attratto o lo rifiuta, si apre alla fede o si ferma sulla soglia. Su Gesù sono state scritte pagine stupende, come pure demitizzanti. Il tempo non ha ancora consunto una figura che si impone per la sua statura morale e spirituale, avvolta sempre in un alone di mistero.
Già Simeone aveva profetato di lui: «Egli è qui come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35). Fin da subito, nella vita pubblica, si è presentato come «Maestro e Cristo» e tale è stato riconosciuto (Mt 23,8-10; Gv 3,2; Mc 8,29). Egli si è proposto come «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). La sua autorevolezza si è imposta in crescendo, fino all’evento della sua risurrezione, grazie alla quale Dio lo ha costituito «Signore e Cristo» (At 2,36).

La vera statura

Nell’immaginario collettivo è assodata l’idea che chi è in autorità si debba imporre con la forza. Ogni gesto che non la esprima sa di debolezza. La legge del più forte – Gesù la chiama “mentalità del mondo” – regola i rapporti umani. Gesù stesso lo ricorda: «Coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono» (Mc 10, 42). Ma la contesta e insegna lo stile del servizio: «Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 1043-44).

 È un insegnamento rivoluzionario, umanamente perdente. Gesù stesso si propone come esemplarità: «Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Pronuncia queste parole verso la parte conclusiva del suo cammino terreno. Alle spalle ha assodato lo stile del dono gratuito, dell’attenzione agli altri, del porsi in piena disponibilità.

 

Il profilo del servo

Il suo profilo infatti si caratterizza per alcune caratteristiche che hanno come denominatore comune la vicinanza e l’interesse per il bene delle persone.
È «il pastore buono che si prende cura delle pecore, le custodisce, le guida, le conosce, dona la vita» (Gv 10,1-21). Papa Francesco direbbe che ha «l’odore delle pecore», per dire la vicinanza reale alle persone.
È colui che sa stare con la gente, ne coglie i bisogni, interviene per dare un aiuto, prova compassione nei loro confronti, evita di ricavare vantaggi interessati, anzi cerca di sottrarsi quando avverte di essere male interpretato ed essere favorito nell’averne.
Ha un profilo basso, che prende forma nel suo cammino itinerante e nelle situazioni che si presentano. Non rifiuta nessuno, rimane disponibile verso tutti, spende energie e tempo per la causa del Vangelo.
Si rende vicino ai ‘peccatori’ e giustifica tale prossimità perché sono i malati che hanno bisogno del medico ed egli «non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). Affronta le critiche che lo definiscono un «mangione e beone, un amico di pubblicani e di peccatori» (Mt 11,19).
Accosta i grandi e i piccoli. Verso questi manifesta una predilezione particolare e li vuole vicini a sé: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio» (Lc 18,16).
Insiste molto sulla semplicità e umiltà, qualità che dispongono meglio all’accoglienza del Vangelo, mentre constata la resistenza di chi si ritiene autosufficiente. Significativa è la preghiera che rivolge al Padre: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
Emerge anche la caratteristica del coraggio per difendere la verità. Denuncia, rimprovera, smaschera, ma sempre per aiutare le persone alla coerenza, alla sincerità, al superamento della ricerca del consenso. Sa di non avere l’approvazione di tutti, ma porta avanti la sua missione fedele alle consegne del Padre, giocando in perdita, almeno apparente.

Il gesto della consegna

Nel contesto dell’ultima cena, l’evangelista Giovanni racconta la lavanda dei piedi ai discepoli. Il Maestro diventa il servo che si china in un gesto inatteso, ‘scandaloso’. Lo esige da tutti, anche da Pietro che oppone resistenza. Lo compie per dare un insegnamento, che diventa la sua consegna: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,14-15).
Siamo nell’imminenza della passione di Gesù. Lui, ‘divenuto servo obbediente’, darà la vita. È il chicco di grano che muore per rinascere a nuova vita e produrre molto frutto (Gv 12,24). Lo vediamo portare a compimento le profezie di Isaia sul Servo di Jahvé: uomo dei dolori, sfigurato al punto di perdere le sembianze di uomo, eliminato dalla terra dei viventi, appeso al patibolo, offertosi in sacrificio di riparazione, per giustificare molti addossandosi le loro iniquità (cfr. Is 53).
Il triduo pasquale ci ripresenta i giorni apicali di un cammino improntato al dono di sé. Sulla croce Gesù compie il gesto supremo del dare la vita. Su di essa fu innalzato, come il serpente nel deserto, per riportare a salvezza tramite la fede in lui (Gv 3,14).
Le sue parole «Io vi ho dato l’esempio» rimangono la consegna a noi suoi discepoli: siamo chiamati a seguirlo sulla via del servizio umile e generoso, a dare la vita per amore nel nostro quotidiano, a lasciarci attirare a lui (Gv 12,32) nostro Maestro e Salvatore.

Argomenti: Gesù
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