La vita spirituale si sviluppa su coordinate chiare e assimilate,
che danno stabilità e sono di supporto sempre,
soprattutto nei momenti provati della vita.
La “vita di unione a Cristo” è stata la motivazione portante di p. Dehon.
Le fondamenta solide di un edificio e il terreno roccioso su cui poggiano, sono garanzia della sua stabilità (Mt 7,24-25). In termini psicologici, sono le motivazioni portanti a dare consistenza all’esistenza della persona. Ai molti ‘perché’ che si presentano, è importante dare risposte incanalate su filoni unitari e validi.
Dehon ha maturato, soprattutto negli anni della formazione, il riferimento a Cristo, l’unione di vita con lui. Ha imparato a commisurare ogni evento rapportandolo al Suo vissuto. Ne è scaturita una “vita di unione” nella fede.
Ha individuato tre punti fondanti a cui fare riferimento: l’incarnazione, la passione, l’eucaristia. Su di essi ha costruito il suo cammino spirituale. Li chiama «i tre grandi fiumi di amore, che hanno attraversato l’intero mondo con la loro corsa vivificante e salutare». Egli si apre a questo ampio orizzonte dischiuso da s. Paolo: «È piaciuto a Dio riconciliare tutte le cose in Cristo» (Col 1,20).

Nazaret
È il luogo in cui il Verbo ha preso carne da Maria. Segna l’inizio di un’avventura incredibile, che ha sconvolto il mondo. Contiene significati molteplici ricchi di messaggi: la fede che accoglie l’imprevisto (Maria e Giuseppe), la disponibilità del Verbo (Ecce venio) e di Maria (Ecce ancilla), l’obbedienza umile e fiduciosa di Giuseppe, il silenzio che aiuta a interiorizzare, la quotidianità semplice e ripetitiva, l’aspettativa sul figlio ‘speciale’, la crescita di Gesù in sapienza età e grazia, la religiosità ordinaria, la vita di preghiera, lavoro e sacrificio, la relazionalità affettiva e positiva.
«Crescere, progredire nella virtù, nella sottomissione e nella conformazione alla volontà divina, attendere e non volere affrettare, con un’attività naturale, i disegni di Dio, non volere dare a lui maggior gloria o per un’altra via o con altri mezzi che il Padre non domanda: ecco quel che ha fatto nostro Signore. Egli domanda che pure noi facciamo altrettanto» (DS).
Nazaret diventa il riferimento su cui sviluppare il sentire in sintonia con la volontà divina in atteggiamento di disponibilità e di pace.
La passione
Sul Golgota si chiude la vita terrena di Gesù all’insegna del dono totale di sé (Consummatum est). Accanto al tanto dolore della passione, si accompagna il grande amore di tutta la sua vita (obtulit se ipsum). Il costato trafitto e il cuore aperto sono il segno più evocativo di quanto Gesù ha amato; e il sangue e l’acqua usciti dalla ferita rimandano al dono di salvezza offerto alla Chiesa.
Anche la passione è ricca di simboli e di messaggi: l’abbandono e la sottomissione alla volontà del Padre, la consegna dell’unità (Sint unum), l’abnegazione, l’immolazione, il perdono ai crocifissori, l’amore che salva tutti (Adveniat regnum tuum).
Quale la risposta? «Questo Sacro Cuore ci ha amato smisuratamente e, possiamo dire, sino alla follia. Potremo rimanere insensibili a tanto amore? Potremo rifiutare a questo Cuore che ci ha tanto amati quello che ci domanda a giusto titolo: il ricambio d’amore, la riconoscenza, la completa donazione di noi stessi, la consolazione e la riparazione, per compensarlo dell’indifferenza e dell’ingratitudine di tante anime e dello stesso popolo eletto?» (DS).
L’Eucaristia
L’Eucaristia è “il segno” sacramentale dell’amore di Cristo per la Chiesa: il suo essere con noi tutti i giorni fino alla fine del tempo (Mt 28,20), il suo memoriale della passione e morte (Lc 22,19). È il prolungamento «del sacrificio del Calvario, rinnovato sull’altare in maniera incruenta, e Cristo è il mediatore tra Dio e gli uomini che si offre nuovamente per le mani del sacerdote e s’immola al Padre celeste» (DS). È il suo permanere silenzioso, ma efficace, in nostro favore.
«Nell’Eucaristia, Gesù ci offre il modello della nostra vita interiore. Ivi la sua vita è principalmente nascosta, silenziosa, amante, sacrificata. Così deve essere la nostra vita … Gesù desidera dei santuari ove sia esposto alla venerazione, visitato, amato, consolato» (DS).
Il tutto unificato nella vita
Questi tre riferimenti hanno alimentato e unificato la vita spirituale di p. Dehon. Diventano l’ossatura portante della sua fede. Su di essi ha sviluppato le qualità umane e spirituali, il suo sentire intimo e il modo di manifestarsi.
Egli conforma se stesso sul vissuto di Gesù. Ne ricava i sentimenti, gli atteggiamenti, le risonanze, le aspirazioni e cerca di farli suoi. La sua ricerca spirituale mira all’unione con Cristo, alla conformazione con lui. Anche quando è immerso nelle molteplici attività apostoliche, non perde mai questo quadro di riferimento. Sente in modo profondo e continuativo il desiderio di ritirarsi per coltivare sempre di più l’unione a Cristo. Questo lo porta a cercare il passaggio dalla vita diocesana, ritenuta per lui troppo dispersiva, alla vita religiosa più ritmata nei tempi di preghiera e di meditazione.
Questo riferimento, che costituisce la trama interiore che unisce l’insieme, non l’ha preservato dalle prove della vita. Sappiamo che ha sofferto per la soppressione dell’Istituto al suo nascere – poi rinato -, è stato bersaglio di calunnie da parte di un alunno del collegio da lui fondato, il vescovo lo ha allontanato per un periodo dalla diocesi, più tardi vive il rifiuto di alcuni suoi religiosi che lo spingono a dimettersi dall’incarico di superiore generale. Ma è riuscito a superare le prove, seppur dopo alcuni anni di grande fatica, grazie al riferimento al suo ‘nucleo spirituale originario’. Aveva appuntato nel suo diario: «È veramente la mia grazia, l’esercizio dell’unione a nostro Signore. Ad esso voglio aderire in modo definitivo. Nulla farò se non in questa unione, con Gesù, per mezzo di Gesù, in Gesù». Chiamerà la via di unione «la direzione per eccellenza».
È su questa ‘sensibilità spirituale’ che formerà i suoi religiosi, il che non significa bloccarli all’intimismo spirituale, ma ‘arricchirli dentro’ per avere sempre una base sicura di supporto alla propria azione. Ritiene la vita di unione un autentico metodo spirituale, come un esercizio di conformità a Cristo. L’ha aiutato a evitare la ‘dispersione del fare’, pur sempre molto impegnato nell’azione apostolica, e a superare ‘l’insidia dello scoraggiamento’ negli anni difficili, inattesi.
Diventa l’eredità spirituale lasciata ai suoi religiosi: «Il nostro metodo di spiritualità consiste nell’avere sempre davanti agli occhi il Sacro Cuore di Gesù». Tale metodo è la via stessa della santità: essere come i rami che si alimentano al tronco e portano frutto.
Si tratta di coltivare questa spiritualità attraverso l’utilizzo dei mezzi indicati dalla tradizione cristiana: la familiarità con la Parola di Dio, la meditazione dei “misteri” della vita di Gesù – i momenti più significativi -, la preghiera, anche l’ascesi che aiuta a entrare nella dinamica del lasciarsi ‘lavorare’ dall’azione dello Spirito. L’insieme di questi mezzi convogliano a rafforzare l’unione a Cristo, che p. Dehon chiama “esercizio”: «È meglio fermarsi a un solo esercizio che comprenda e unisca tutti gli altri, se questo è possibile. Ora, l’esercizio che racchiude tutti questi vantaggi è l’unione con Nostro Signore».
Le Costituzioni dehoniane riprendono il tema e lo applicano al vissuto: «Quali discepoli di Padre Dehon, vorremmo fare, dell’unione a Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini, il principio e il centro della nostra vita» (Cst 17).