4 ottobre 2022 Matteo 11, 25-30

Giovanni Nicoli | 4 Ottobre 2022

Matteo 11, 25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Per potere suonare uno spartito di musica è importante imparare bene a maneggiare lo strumento; sono necessarie ore e anni di esercitazione per potere imparare a suonare e a conoscere uno strumento. È necessario inoltre conoscere lo spartito, imparare la parte, entrare nel cuore di quel pezzo di musica. Tutto questo molti di noi lo fanno, anche se non tutti, ma tutto questo non basta.

Nel momento in cui devi eseguire quel pezzo devi dimenticare tutto e ascoltare il battito di quello spartito nel tuo cuore. Solo se lo lasci risuonare dentro di te puoi entrare nello spirito di quello spartito e cogliere la genialità di chi lo ha scritto. Se riesci a fare questo, e non sempre ci riusciamo, allora puoi giungere ad essere fedele a quella musica nella genialità e nella invenzione. Così e solo così vi potrà essere una esecuzione che coinvolga coloro che ascoltano i quali sentiranno di potere volare con le tue mani, sulla tastiera che tu giochi, che tu suoni.

Questa è la sapienza di Dio. Ha inventato una musica impareggiabile per il creato: la musica dell’amore. Noi, se vogliamo, dobbiamo imparare a suonare lo strumento della nostra vita fisica e spirituale. Siamo inoltre chiamati ad imparare lo spartito che il Signore ha scritto per noi e per l’umanità, che ci ha scritto sulla Sacra Scrittura. Ma poi siamo chiamati a dimenticare tutto, lasciando che lo Spirito soffi su di noi e le nostre mani corrano sulla tastiera non secondo le regole da noi imparate, ma secondo quello che batte nel nostro cuore. Ciò che noi siamo chiamati a fare é fare unità tra lo spirito di Dio che ha scritto e suonato la partitura dell’amore e lo spirito che Dio ha soffiato in noi. Facendo unità emergerà la suonata dell’amore.

Così è per la nostra esistenza. Ascoltiamo continuamente la Parola del Signore; la conosciamo, la impariamo a memoria, ma non la lasciamo calare dentro di noi fino quasi a dimenticarcene. Nel momento in cui dimentichiamo la Parola e dimentichiamo noi stessi, allora può nascere un capolavoro di Dio. Così come è nato e cresciuto fino ad annullarsi san Francesco, di cui oggi celebriamo la festa.

Dimenticare noi stessi significa dimenticare le nostre ragioni, il nostro buon senso, il nostro bisogno di prevaricazione che ci porta a fare dei giochetti di manipolazione per avere più consensi e averla vinta sul fratello.

Il risultato di questo è sotto i nostri occhi. Anziché suonare lo spartito di Dio suoniamo lo spartito della nostra insensatezza che noi, ne siamo convinti, crediamo saggezza. Per suonare questo pezzo è necessario mettere in disparte lo spartito di Dio. Suonare uno spartito obsoleto e arido, uno spartito che non apre alla vita e non coinvolge il fratello per il bene ma per l’arrivismo e porta con sé un solo risultato: “l’essere stanchi ed oppressi”. Sì perché i risultati sono disastrosi nonostante il fatto che noi ci arrabattiamo dalla mattina alla sera. Il nostro correre è un rincorrere cose vacue che succhiano la vita, certamente non ne danno.

Abbandonare la insensatezza umana per accogliere lo spartito di Dio della saggezza divina, significa rimettere in moto il nostro cuore e la nostra vita tutta. Significa abbandonare il bisogno che noi abbiamo di evidenziare le nostre ragioni e di ottenere riconoscimenti. Significa ricominciare a suonare la musica di Dio, che poi è la nostra.

Accogliere il giogo significa solo una cosa: abbandonare quello stile che crediamo furbo e accogliere quello stile che furbo realmente è. E cominciare di nuovo a suonare, suonare con il cuore, suonare una musica vera e bella e buona.

È fatica? Sì! Ma è fatica vera. È fatica che ristora, è fatica che risolleva, è fatica che dona saggezza al nostro esistere e al nostro agire.

Allora il giogo dell’amore e della sapienza divina diventa un canto, un cantico delle creature, un canto dove il cantus firmus è il cantus di Dio e del suo amore per l’umanità. Questa è melodia di base sulla quale possiamo suonare e cantare la vita con creatività. È la melodia di fondo della piccolezza del Regno, dell’umiltà, dell’insipienza umana, della sapienza di Dio. Tutto è riportato ad uno: il canto dell’amore. Su quell’uno tutti possiamo suonare con passione e con umiltà, il canto della nostra esistenza. Un’esistenza non più dispersa in mille rivoli, ma un’esistenza che saltella da una roccia all’altra come fresca acqua di torrente, sapendo che comunque tutti i fiumi prima o poi giungono al mare, al mare dell’amore di Dio per l’umanità tutta.

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