21 Novembre 2024 Matteo 12, 46-50

Giovanni Nicoli | 21 Novembre 2024

Matteo 12, 46-50

In quel tempo, mentre Gesù parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli.

Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti».
Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».

Di cosa è fatto il nostro parlare? Che cosa dicono i nostri gesti? Cosa manifestiamo col nostro dire e non dire? Quanto nel nostro relazionarci è finalizzato a comunicare e quanto invece a mischiare le carte? Cosa possiamo dire col portare il caffè a letto ad una persona amata? È cosa che facciamo da sempre e ci pesa o è cosa sempre nuova che magari rischia l’abitudine e ha una sua fatica, ma è gesto sempre nuovo che ogni giorno si rinnova? Cosa diciamo all’anziana madre che è in ospedale e non sta proprio bene, andando da lei più volte al giorno e fermandoci con lei la notte, quando ne ha bisogno? Che cosa diciamo?

Cosa dicono le nostre parole che spesso non colpiscono nel segno perché vagano per altre vie e non comunicano quello che vorremmo?

C’è una situazione difficile di malattia e noi facciamo domande banali sugli orari dei negozi. Che cosa ci dice una banalità del genere? Disinteresse, non comprensione di quanto sta avvenendo, paura di quanto sta avvenendo, incapacità ad affrontare il dolore?

Gesù parlava alla folla, Gesù parla a noi che siamo affaticati ed oppressi. Dio solo sa quanto bisogno abbiamo di una parola vera, non ridondante, non piena di interesse. Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di parole disinteressate, di parole che tocchino il cuore, di parole che non ci parlino della solita Borsa o delle solite banche?

Gesù parlava al cuore della folla, Gesù parla a noi che siamo quella folla e ci invita ad andare a Lui perché possiamo scegliere quel giogo vero che è dono e gratuità, che ha una sua pesantezza ma che, allo stesso tempo, ci dice che ha una fatica e una pesantezza che ha senso e dona senso.

Gesù parlava alle folle, che siamo noi, e ci dice che non esiste legge che possa passare sopra l’uomo: non è il sabato per l’uomo ma l’uomo per il sabato. Le frontiere e le burocrazie non sono fine a se stesse, le persone che arrivano rifugiate non sono per giustificare le nostre burocrazie sempre più disumane e sempre più inutili, ma le frontiere sono per le persone. Le frontiere non servono per chiudere le porte: servono per dare il benvenuto. Magari c’è fatica e vi sono difficoltà, ci sembra di non farcela. Ma ciò che ci renderà capaci di farcela è il desiderio di bene per l’altro. È quando siamo senza vita e senza amore che noi non troviamo stimoli e pensiamo di non farcela perché non abbiamo mezzi e soldi. Bastano cinque pani e due pesci per sfamare una folla, se abbiamo cuore di condividere. Non bastano le ricchezze di un mondo intero se vogliamo solo accumulare.

Che cosa ci dice Gesù se non che è interessato alla misericordia e non al sacrificio. L’accoglienza, le porte aperte sono misericordia; le porte chiuse evidenziano sempre più il sacrificio. Pensiamo alle tante case sfitte e mezze vuote. Pensiamo a quante persone accoglierebbero una persona di queste in casa loro. Ma la burocrazia non lo permette. Pensiamo a quanti soldi risparmieremmo se togliessimo di mezzo la demoniaca burocrazia che succhia sangue, soldi, tempo e pazienza alla gente.

E Gesù, minacciato di morte, continua la sua missione parlando ai malati e curandoli.

Ci accorgiamo sempre più che non è tanto il parlare con Lui o di Lui che ci fa dei suoi e suoi, quanto l’ascoltarlo. Il parlare con Lui può essere il primo passo, ma non basta.

I suoi cercano di parlargli e a Lui parla uno sconosciuto, un anonimo tra la folla, magari preoccupato del fatto che il Signore non desse udienza adeguata ai suoi. È uno della folla, è uno di noi, sono io: ma il mio parlargli diventa desiderio di ascoltarlo?

Gesù quando parla e a chi parla, schiude il desiderio e quando Gesù schiude il nostro desiderio schiude il suo mistero.

I confini sono cosa essenziale perché senza confini non c’è distinzione. Ma ciò che è necessario è che i confini diventino motivo di incontro, di condivisione, di dialogo.

Sono importanti i confini, senza non vi sarebbero le persone. Ciò che è altrettanto importante è che i confini stessi siano porte aperte di accoglienza, di dialogo e di incontro. Per esserci questo, ci dice Gesù, è necessario l’ascolto. Perché chi ascolta la mia parola diventa capace di metterla in pratica e chi la mette in pratica diventa figlio, fratello, sorella e madre e padre e … come Maria!

La solitudine demoniaca dei confini chiusi viene vinta e viene distrutta, il giogo diventa leggero e il peso dolce, un dolce peso appunto. È come portare in braccio o in groppa una persona amata camminando nelle acque di un lago: tutto è alleggerito e tutto diventa gioia, condivisione del nostro essere figli e fratelli.

E mentre così camminiamo, con le porte spalancate, possiamo cantare, perché chi canta prega due volte, e possiamo cantare con gioia: Padre Nostro…!

Tentare di fare la sua volontà ci mette in relazione profonda con Lui. (…) Solo una vita vissuta come continuo tentativo di mettere in pratica ciò che ci ha annunciato, ci dispone anche a incontrarlo veramente, ma questa volta non come folla, ma come “madre, fratello, sorella, amico”.

L.M. Epicoco

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PG

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